mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Attualità

La banalità dell’indifferenza. L’Italia paese che cambia

L’Italia riparte, si riaccende spegnendo gli ultimi focolai del virus. Potrebbe sembrare un ossimoro ed invece è tutto vero. Riassaporare la gioia di una bella fila alla posta per pagare la rottamazione ter oppure ansimare, tossendo sfiniti sul controllore per aver raggiunto l’ultimo treno o rincontrarsi per non dire assolutamente nulla dopo più di due mesi di lockdown. Gioie vere della vita. I dati epidemiologici però arriveranno tra una quindicina di giorni, dati che ormai viaggiano in terza classe sui social, non più in diretta su Sky.

L’epidemia sta rallentando si dice, i medici cubani tornano a Santiago all’Havana, portandosi dietro gli sguardi del nostro Buena Vista Social Club di vecchietti in terapia intensiva. Si riparte. Piovono soldi dall’Europa, si dice. Mi piace usare questo intercalare dubitativo. È un conto alla rovescia, un capodanno di un’economia che potrebbe incrociare un effetto domino devastante.

Gli analisti finanziari però si stanno rendendo conto che, in questa situazione emergenziale, un conto alla rovescia non può esserci: non abbiamo infatti a disposizione una data di scadenza, le imprese stanno trattenendo il fiato mentre l’aria sta finendo. Un’azienda basata su un business plan deve gestire una situazione così anomala e pericolosa che ogni previsione può essere ribaltata. Se analizziamo i vari decreti economici, viene spontaneo domandarci se realmente i prestiti possano aiutare le imprese o appaiono solo una deviazione verso un ulteriore scenario finanziario ancora più negativo. L’idea che la ripresa può concretizzarsi ed essere durevole esiste ma c’è il rischio che, una volta ripartite, le aziende non saranno in grado di restituire il prestito. In caso di ipotesi negativa dovrà intervenire lo Stato facendo da garante, con la Banca d’Italia che forse è stata un po’ troppo positiva a valutare il rischio di insolvenza del 10 per cento.

In una nuova rivoluzione industriale c’è bisogno di una domanda pubblica intelligente: promuovere ad esempio nel mondo degli appalti, norme che possano interagire tra pubblico e privato senza strozzare gli imprenditori. La prospettiva di allentare la morsa burocratica del Codice dei Contratti è ormai un mantra di molte forze politiche. Il coinvolgimento di Invitalia da parte del Presidente del Consiglio è una visione di strategia politico manageriale sicuramente valida, ma che dovrà scontrarsi con una realtà difficilissima; finita la fase emergenziale infatti sarà importante tornare a gestire gli investimenti con una visione  non troppo politico centralizzata, ma renderla fruibile e gestibile da apparati in grado di avere una visione del futuro, start up, ricerca, innovazione ecc., con un occhio aperto alla coesione sociale per scongiurare anche il rischio di povertà. Il pericolo infatti è quello di cadere in quella che possiamo definire “la banalità dell’indifferenza” quasi ai livelli di quella del male di Hannah  Arendt.

Creatività e tecnologie saranno i binari per la lunga sfida della seconda fase ma, se l’indifferenza sarà ancora una volta la colonna sonora di un capitalismo gretto e schiavo, saremo costretti a rivedere la nostra percezione in termini di risorse, prospettive e capacità. Tecnicamente alla base di qualsiasi sfida c’è la formazione; iniziamo quindi ad aiutare l’impresa con piani di aggiornamento professionale gratuiti e sussidi  economici sostanziali, perché   in un tale momento storico dare spazio all’innovazione potrebbe sicuramente diventare terreno fertile, ma lo stesso potrebbe anche essere infestato da vermi o parassiti. Digital economy, smart cities, l’Italia è pronta dopo una crisi del genere a recuperare il terreno perduto in questi anni nei confronti di alcuni partner europei? Abbiamo sperimentato un nuovo tipo di imprenditorialità in fase emergenziale, il cosiddetto trasferimento tecnologico, la semplificazione delle procedure di accesso alle agevolazioni tendendo allo sviluppo di prodotti di intelligenza artificiale, di mappatura, di certificazione soprattutto in campo sanitario. Puntare decisamente sulla formazione, tutoraggio e controlli, con i soldi che potrebbero arrivare.

Investimenti, fondi europei spesi bene, capacità manageriale e soprattutto trasparenza perché, come dice Woody Allen, il crimine non paga ma lascia ottimi conti in banca.  L’idea è quella di orientare l’economia verso una maggiore sostenibilità ambientale e equità come ci fa sapere il Prof. Enrico Giovannini impegnato a perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030. La crisi del Coronavirus ci insegna che forgiare un modello economico sui dati del Pil delle nazioni può essere pericolosissimo. Aver smontato la sanità pezzo per pezzo in venti anni in nome delle privatizzazioni e la delocalizzazione della produzione in nome del profitto è stato il canale preferenziale del covid dal punto di vista economico. Paradossalmente un regime comunista può permettersi un lockdown di sei mesi, come auspicherebbe la scienza. In Italia un tempo così è appannaggio solo di un cinque per cento della popolazione.

Nessuna economia occidentale, per come è stata tirata su a forza di capitalismo degli ultimi cinquant’anni, può giocare con un periodo di stop industriale (i dati della disoccupazione degli Stati Uniti sono drammatici). Se l’Italia avesse avuto alle spalle una storia di maggiore giustizia sociale e giusta distribuzione del reddito, un lockdown che la comunità scientifica in qualche modo si è vista costretta a rivedere non avrebbe portato ad una situazione così grave e difficile. I libri di economia in futuro parleranno di questo. Di quanto sia flebile l’economia legata alla globalizzazione, una crisalide che muore prima di diventare farfalla. Gli effetti della ripartenza non si vedranno subito, sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico finanziario.

La politica economica governativa per la ripartenza dovrebbe auspicare l’introduzione di novità normative nell’ambito del settore demografico con conseguente sviluppo della forza lavoro per le imprese.  Ma questa indifferenza che ci perseguiterà nella fase 2/3/4, non ci farà rialzare la testa, lascerà anzi l’Italia con il capo chino in preda a una scoliosi cronica, riversa su se stessa; uno shock di sistema che l’ha resa vulnerabile non solo economicamente ma anche culturalmente, e soprattutto impreparata. Cambiare il modo di pensare la povertà, l’inquietudine, la necessità. Un equilibrio di processi etici, economici e motivazionali: quello che le imprese e il governo insieme dovranno generare, l’uno a fianco dell’altro: La filosofia morale da cui discendono etica sociale ed economica. L’avvento del Covid 19 ci ha messo di fronte un dilemma infinito: l’economia può fare a meno della morale? Libri per la fase due: La vita segreta della mente di Mariano Sigman, tra esperimenti psicologici e la ricerca che ha il libero arbitrio di liberarsi dal divano e” Perché leggere i classici” di Italo Calvino, dove il lettore potrà riassaporare alcune letture epiche per farne sfoggio in qualche conference-call o magari qualche politico durante la trattativa sul Mes.

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