Tola: le persone chiederanno aiuti per molto tempo ancora. È l’ora di scelte coraggiose
Il sismografo sociale della Caritas mostra come la crisi in Italia nella emergenza Coronavirus stia mietendo migliaia di famiglie che da normali passano a povere. C’è una crescente richiesta di aiuti ma anche di collaborazione, con una fitta rete di volontari. Il disagio economico, e nel caso descritto dalla Caritas la distribuzione di alimenti, tocca l’intera Italia con punte di richieste di aiuto come a Siracusa che ha raggiunto il +563%. Ecco la verifica sui territori fatta dalla Caritas, a firma di Monica Tola dell’Ufficio politiche sociali della Caritas Italiana, un sostegno in cui si riflette anche come ogni aiuto debba essere accompagnato dalla valorizzazione delle esperienze umane, sociali, di fede religiosa.
Partendo dal nord, “La Carità non si ferma”, è la campagna avviata dalla Caritas diocesana di Padova per raccontare la prossimità di parrocchie e Caritas parrocchiali alle persone e alle famiglie colpite dalla crisi economica generata dall’emergenza sanitaria in corso. “Un pensiero che ben sintetizza la presenza sollecita, intensificata, assidua della Chiesa nei territori in questi mesi”, fa presente Monica Tola, “In quasi 50 anni di storia le Caritas hanno imparato l’importanza di osservare a partire dal contare gli incontri, le richieste, gli interventi. Oggi, i primi numeri parlano chiaro: una moltitudine di persone chiede aiuto, e lo chiederà ancora per molto tempo”. Stando invece alle cifre, una recente indagine della Caritas Italiana fotografa una condizione nazionale allarmante: + 105% di nuovi accessi ai servizi. Ma è a livello locale che i numeri parlano con più forza.
“A Roma, al netto delle numerose donazioni, la stima della spesa straordinaria necessaria a coprire l’incremento delle richieste di aiuto alimentare è di 50 mila euro per gli Empori e 30 mila euro per i pasti nelle mense. L’emergenza alimentare è così ampia che i vescovi della diocesi hanno esplicitamente richiesto alle parrocchie di impegnarsi nella raccolta di generi alimentari di prima necessità da distribuire alle famiglie”, sottolinea Monica Tola, “A Potenza le richieste di aiuto segnano un + 90%, con punte di incremento del 150% in alcuni centri della diocesi. Oscilla tra il 30 e il 60% anche l’aumento delle richieste di aiuto a Castellaneta, e arriva a più 35% anche a Trieste. Nella diocesi di Milano 16.500 famiglie chiedono aiuti alimentari alla Caritas, 5 mila in città, e sono raddoppiate rispetto al periodo precedente alla pandemia. La lista sarebbe lunga quanto l’elenco delle 218 diocesi, tra le quali Siracusa, dove l’incremento delle richieste di aiuto ha toccato la mirabolante quota di +563%”.
“In ogni Chiesa locale si ritrova la tessera di un mosaico di povertà crescente: bisogni nuovi, richieste urgenti nell’Italia in emergenza”, rivela Monica Tola, “Ma si rinviene anche un collage di solidarietà, composto da volti di operatori e volontari impegnati, insieme ad altre realtà dei territori, in una straordinaria opera di raccolta, confezionamento e consegna di aiuti materiali, e alimentari prima di tutto, nei centri di distribuzione, a domicilio, attraverso le mense”.
Oggi, secondo le verifiche fatte dai ha Caritas, i buoni spesa acquistati e distribuiti dai comuni con i 400 milioni del programma di “Solidarietà alimentare”, lanciato dall’ordinanza della Protezione civile del 29 marzo, si vanno esaurendo. “Le donazioni, fisiologicamente, stanno gradualmente perdendo slancio, dopo aver alimentato per due mesi la rete di realtà caritative piccole e grandi”, segnala Monica Tola, “Intanto, i primi 50 milioni di stanziamento straordinario per il Fondo nazionale di aiuto agli indigenti non sono ancora stati finalizzati, e il Decreto rilancio ne ha stanziati ulteriori 250”.
Nel Paese, fa presente la Caritas, aumentano le richieste di prodotti Fead – il programma europeo di aiuto agli indigenti, che in Italia interviene prevalentemente sulla povertà alimentare – da parte di comuni, parrocchie, associazioni di volontariato attualmente non accreditate ad Agea per la gestione del programma, ma comunque impegnate nella distribuzione di pacchi spesa alle famiglie rimaste prive di reddito. Mentre le derrate garantite dallo stesso Fondo europeo per il 2020 stanno giungendo con oltre un mese di ritardo ai magazzini oramai svuotati delle organizzazioni di volontariato e delle parrocchie, che in queste settimane hanno cooperato con i Coc dei comuni nella gestione degli aiuti.
“Quante siano, e quante saranno ancora nei prossimi mesi, le persone e le famiglie che richiedono cibo è difficile dirlo con precisione”, osserva Monica Tola, “Nella prima fase dell’emergenza è stato importante scongiurare il rischio di lasciare qualcuno indietro, provvedendo a una distribuzione la più ampia possibile, evitando il più possibile di porre barriere all’accesso degli aiuti. E se è probabile che non manchino sovrapposizioni di nominativi negli elenchi dei beneficiari delle varie organizzazioni caritative, è indubbio che un pacco spesa possa al massimo alleviare una condizione di precarietà crescente, che solo la disponibilità stabile di reddito può effettivamente tamponare nella faticosa attesa della ripartenza di un sistema mai così provato in ampiezza e profondità”.
Prioritario è considerare le vite delle persone che hanno chiesto aiuto, e di quelle che ancora non hanno potuto farlo. “Da tempo le Caritas diocesane”, ricorda la Tola, “hanno imparato a collocare l’aiuto alimentare in un sistema complessivo di risorse, garantendone la connessione con altri strumenti, a supporto di percorsi di promozione umana. Ma l’esperienza di questi mesi va oltre e, anche a livello parrocchiale, può sollecitare l’opportunità di rivalutare l’offerta di cibo come bene libero e liberato da qualsiasi vincolo di corrispondenza (tipico della risposta) all’occasione (il regalo), al merito (il premio) e persino al bisogno (l’aiuto). È un’attenzione concreta, per quanto immateriale, evidente nelle parole della giovane ospite di un centro di accoglienza Caritas, impegnata nel confezionamento di pacchi alimentari, che ha chiesto agli animatori di acquistare dolciumi per i bambini; o nell’esperienza del message in a bottle della Caritas diocesana di Rimini, alla quale anche Papa Francesco ha voluto partecipare”.
Il cibo donato, secondo la visione della Caritas, può liberare chi lo riceve non soltanto dall’obbligo di restituirlo, ma soprattutto dalla fissità di sguardo sulla propria condizione di deprivazione o fragilità che è la base, spesso inconsapevole, delle dinamiche assistenziali.
Le restrizioni imposte dal distanziamento sociale condizionano pesantemente la ripresa di tutte le attività economiche e sociali. Anche la pastorale, come i trasporti, la scuola, la sanità, dovrà riformularsi, propone la Caritas, in modalità più sparse – non disperse – ma più connesse, per garantire a ciascuno la possibilità di essere raggiunto e di raggiungere, di essere significativo del piccolo e appartenere, cioè contribuire, nel più grande.