Non appena sono state allentate le misure restrittive imposte dalla quarantena e si è consentita la riapertura dei locali della movida, ecco che frotte di ragazzi si sono riversati nelle strade per il tradizionale aperitivo del fine settimana. Le immagini giunte da varie città italiane sono state a dir poco inquietanti, con assembramenti all’esterno dei locali con molti giovani sprovvisti delle mascherine. Le forze dell’ordine sono intervenute in più parti per far rispettare il distanziamento sociale, ma il problema purtroppo rimane. E diversi sindaci stanno addirittura pensando di emettere nuove ordinanze di chiusura. Ma possibile che i giovani facciano tanta fatica a comprendere i rischi legati al contagio? Siano tanto irresponsabili da non indossare le mascherine, da abbracciarsi con gli amici come se nulla fosse e a bere negli stessi bicchieri? Ne abbiamo parlato con lo psichiatra Paolo Crepet.
Si aspettava che nel primo weekend senza restrizioni anti Covid, si sarebbero viste scene del genere con i locali della movida presi d’assalto dai giovani con assembramenti e poche protezioni? Insomma, siamo al tana libera tutti?
“Di cosa si meraviglia? Era ovvio che sarebbe avvenuto dopo oltre due mesi di completa astinenza da aperitivi e sballi. Non dico che fosse necessario mantenere le chiusure, perché prima o poi alla normalità bisogna comunque tornare, ma chi era così illuso da pensare che si sarebbe riusciti a frenare la voglia di uscire dei ragazzi?”.
Forse si pensava che la paura del contagio avesse fatto da deterrente?
“La prudenza non è degli italiani. Noi siamo fatti così. Badi bene, io non sto giustificando nessuno, sono il primo a dire che sono tutti degli imbecilli, ad iniziare da quelli che vanno in giro senza mascherina. Però francamente non mi sorprendo a vedere certe immagini. Perché poi non è che sono soltanto i ragazzi gli irresponsabili. Ci sono anche tanti adulti che non portano la mascherina e se ne fregano delle regole”.
Eppure scusi, dove sono finiti tutti gli slogan degli ultimi mesi? I social non erano tutti pieni di frasi del tipo “ce la faremo”, “andrà tutto bene”, “restiamo a casa”? Non stavamo tutti sui balconi a cantare?
“Adesso credo che lo slogan da sbandierare sia soltanto uno, ossia ‘speriamo di farcela’. Io non so francamente se ce la faremo, non ci scommetterei molto. Per carità, è vero che la situazione si sta normalizzando, che l’allarme non è più così elevato come all’inizio, ma mi pare che ce la stiamo mettendo tutta per tornare a come stavamo due mesi fa”.
Ma non si era detto che dopo il Covid nulla sarebbe stato più come prima?
“Non farei su questo un discorso generalizzato, perché ci sono molte persone per le quali effettivamente la vita non sarà più quella di prima. Sarebbe un grosso errore dire che nulla è cambiato e che siamo gli stessi di gennaio. Conosco tanta gente che è molto cambiata in questi mesi, persone che vivono nella paura, hanno il terrore di uscire. Poi ci sono gli opposti, ovvero quelli che se ne fregano di tutto e per i quali è come se il problema del contagio non esista. Ma io non me la prendo con loro, ma con una società e uno Stato che facilitano la corsa allo sballo”
In che senso?
“Non mi pare che fino ad oggi si sia fatto nulla per impedire che i ragazzi si vadano ad ubriacare tutti i sabato sera. Sono anni che nelle città, tutti i fine settimana, si creano queste zone della movida dove ognuno fa quello che gli pare, beve e fuma ciò che vuole, dalle undici di sera fino alle quattro del mattino, senza che nessuna autorità prenda provvedimenti. E non sto facendo un discorso politico, perché questo avviene regolarmente nei comuni amministrati dalla destra come in quelli governati dalla sinistra. Anni fa a Ravenna collaborai con un sindaco a limitare la vendita e il consumo degli alcolici nei locali e per tutta risposta gli hanno sfregiato la macchina. Per far capire quanti interessi ci possono essere dietro la movida”.
Però se la paura del contagio non spaventa i giovani, non dovrebbe spaventare almeno i genitori? Non dovrebbero essere questi a vigilare affinché i figli non si comportino in maniera irresponsabile rischiando di beccarsi il virus e poi trasmetterlo anche ai familiari?
“Lasci stare i genitori, per l’amor di Dio. Ne ho sentiti diversi dire che i figli hanno diritto di divagarsi dopo essere stati oltre due mesi chiusi in casa. Manco fossero stati in galera. Sono morti tanti medici e infermieri negli ospedali, tanti anziani nelle case di riposo, e noi dovremmo avere compassione per il venticinquenne che per due mesi non è potuto uscire la sera? Quale tortura ha subito? Quella di non poter vedere la fidanzata? Nell’era dei social in cui si è interconnessi con l’altra parte del mondo, è questo il vero problema? I ragazzi non sono più andati a scuola, hanno dormito fino alle undici del mattino, sono tutti ingrassati perché hanno mangiato come maiali, e ci vengono a dire che hanno sofferto per non aver consumato l’aperitivo? Suvvia, non ci prendiamo in giro per favore! Tanto fra due mesi non ci ricorderemo più nemmeno dei mesi che abbiamo trascorso in quarantena. Abbiamo fatto una tragedia per essere stati in casa sessanta giorni quando i nostri nonni si sono fatti cinque anni di guerra”.
Quindi chi sono realmente i soggetti che stanno faticando di più a tornare alla normalità?
“Sono aumentati i casi di patologie ossessive e depressive e tanti sono in paranoia. E non sono certo quelli che vanno a passeggiare sul lungomare di Napoli. Ci sono tante persone che hanno paura, non solo adulti ma anche giovani. Perché alla fine non siamo tutti uguali, e non tutti i ragazzi sono incoscienti. Poi purtroppo come c’erano prima i no vax adesso ci sono i no mask, quelli cioè che si rifiutano di portare la mascherina perché chissà cosa c’è dietro. Ma il vero grande problema è rappresentato dalle persone che hanno perso il lavoro e che hanno difficoltà a trovarne un altro. Ecco la vera tragedia. Altro che l’assenza della movida. E mi consenta una riflessione”.
Prego
“I ragazzi che si sballano il fine settimana sono figli di gente ricca. E non sto parlando dei grandi industriali, ma di tante famiglie che possono permettersi di dare al figlio cinquanta euro a sera per andare a fare l’aperitivo. Il governo dovrebbe tenere conto di questo. La movida costa, non è a titolo gratuito. Io a vent’anni non mi sarei mai potuto permettere la vita che fanno i ragazzi di oggi, quelli che stanno ammucchiati fuori ai locali con i cocktail in mano. Quindi chi dice che l’Italia è un paese povero dice una sciocchezza, e questa ne è la prova. Perché quelli non possono essere tutti figli dei miliardari che conosciamo bene. E allora, se un genitore può permettersi di dare cinquanta euro a sera ai figli che vanno a sballarsi, vuol dire che ci sono molte famiglie italiane che stanno bene e possono permettersi di buttare i soldi nel cesso, visto che spenderli per ubriacarsi o drogarsi è la stessa cosa. E se allo Stato risulta che siamo così poveri da meritare il reddito di cittadinanza, forse è perché tanti non pagano le tasse. Sennò i conti non tornano”.