Se tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica vige il compromesso della democrazia parlamentare bicamerale, non mancano atavici dissapori e antagonismi. Di recente, presso la Camera dei Deputati sono affiorati anche risentimenti e malumori per disparità di trattamento sulle differenti retribuzioni, a parità di lavoro, con i senatori.
L’Assemblea Costituente
Tra le varie problematiche che l’assemblea costituente si trova a gestire, alla caduta del fascismo, è la scelta tra un sistema bicamerale oppure un Parlamento monocamerale, essendo già alle spalle il principio della separazione dei poteri teorizzato da Montesquieu (Camera alta ‘senato’ di nomina regia e, quindi, non elettiva e Camera elettiva (Camera dei deputati). Si opta per un bicameralismo paritario, un Parlamento con due Camere elettive, benché con differenti forme di ‘reclutamento’ dei propri rappresentanti, sulla base della suddivisione della Nazione in Collegi, in rapporto al numero dei seggi previsti. Si è passati, con la riduzione del numero dei parlamentari, con effetti dalla attuale XIX legislatura, da 630 a 400 per la Camera dei deputati e da 315 a 200 per il Senato della Repubblica.
Obbiettivi di sostanza o di facciata
Tra le motivazioni fondamentali esternate vi era il convincimento su un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini; ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura); allinearsi al numero dei parlamentari di altre Nazioni d’Europa. Ne è scaturito, in modo tangibile, un dimezzamento del rapporto fiduciario sul territorio nazionale per entrambe le Camere nei rispettivi Collegi e anche una minore partecipazione alle competizioni elettorali.
Referendum costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario
Nel 2016 viene tentato, senza esito, un rivoluzionario progetto di revisione costituzionale, con un eclatante esito: (Si 40,88%; No 459,12%; affluenza alle urne 65,47%). Il quesito referendario di cui alla legge di revisione costituzionale (G.U. N. 88 del 15 aprile 2016) cosi titolava: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario’, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione?’”. Il cittadino ha optato solamente per la riduzione del numero dei parlamentari, per l’interesse più sentito, di tipo economico, apparentemente convincente.
Disparità di trattamento economico tra Senatori e Deputati, l’insanabile pomo della discordia
L’articolo 69 della Costituzione non indica diversità di trattamento economico tra deputati e senatori. Infatti dispone che: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Trattasi di legge ordinaria facilmente modificabile dal parlamento. Si potrebbe, probabilmente, rimediare ricorrendo all’autodichia, nota anche come giustizia domestica, perché, in effetti, si violano i più elementari diritti costituzionali dei lavoratori, nella cui categoria – in senso lato – non sono da escludere i Parlamentari.
Infatti, l’articolo 55 dispone che: “Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”. Negli articoli successivi sono indicate le forme di elezioni presso i rispettivi Collegi secondo la legge elettorale vigente, oltre ai requisiti di eleggibilità (elettorato attivo e passivo).
La novità differenziatrice si rileva nell’articolo 64 il quale dispone che: “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta”. Il successivo articolo 67 afferma che: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Incompatibilità delle funzioni di parlamentare
Insieme al diritto sulla equiparazione degli emolumenti, diarie, etc. tra senatori e deputati, meriterebbero una giusta rivisitazione anche le norme che contemplano le discutibili opzioni stipendiali a favore dei parlamentari provenienti dai vari ruoli nella P.A., Enti o privati dipendenti. Mentre alcun obbligo è imposto ai liberi professionisti i quali possono continuare ad esercitare le loro attività, non ravvisandovi nei loro confronti alcuna incompatibilità di diritto o di fatto, ma influendo, quasi certamente, sui lavori parlamentari e sulla disponibilità relazionale con la collettività dei singoli parlamentari.
Non è, comunque, mai troppo tardi per affrontare tale questione sulla disuguaglianza di emolumenti tra senatori e deputati, come di recente è stato rimarcato, mentre è altrettanto opportuno affrontare le distorsioni, alla luce anche delle osservazioni più volte emerse in seno allo stesso Parlamento, sulle consulenze di parlamentari professionisti e non, in Italia e fuori dal territorio nazionale.