Dopo tre giorni di intensi combattimenti lungo il confine, Cambogia e Thailandia hanno concordato l’avvio di colloqui di cessate il fuoco, con l’obiettivo di porre fine a una crisi che ha già provocato 33 morti e oltre 170.000 evacuati. L’annuncio è arrivato dopo una doppia telefonata del presidente statunitense Donald Trump ai leader dei due Paesi, che ha minacciato di sospendere i negoziati commerciali in corso se le ostilità non fossero cessate. Il conflitto, esploso nei pressi del tempio conteso di Ta Muen Thom, ha visto l’impiego di caccia F-16, artiglieria pesante e bombe a grappolo da parte dell’esercito thailandese, mentre Phnom Penh ha denunciato attacchi a scuole, pagode e ospedali. La Cambogia ha chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato durante una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha invitato entrambe le parti alla moderazione. Il premier ad interim thailandese Phumtham Wechayachai ha dichiarato che Bangkok è pronta a negoziare, anche attraverso la mediazione della Malesia, presidente di turno dell’ASEAN. Tuttavia, ha ribadito che “la Cambogia potrebbe essere responsabile di crimini di guerra” per l’uso di lanciarazzi vicino ad aree civili. La Cambogia, dal canto suo, ha negato le accuse e ha sottolineato la sproporzione tra le forze in campo. “Come può un Paese senza aviazione attaccare uno con un esercito tre volte più grande?” ha dichiarato l’ambasciatore cambogiano all’ONU. Il tempio di Preah Vihear, simbolo della disputa territoriale, resta al centro del conflitto. La sua sovranità, assegnata alla Cambogia dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 1962 e confermata nel 2013, continua a essere contestata da Bangkok. Mentre si attende la definizione della sede e della data dei colloqui, la comunità internazionale osserva con cautela. Il rischio di una guerra regionale resta concreto, ma il dialogo sembra finalmente aver trovato uno spiraglio.