Il presidente Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, accusata di promuovere un’“agenda woke” e di avere posizioni anti-americane e anti-israeliane. La decisione, che diventerà effettiva nel dicembre 2026, rappresenta un nuovo strappo con le istituzioni multilaterali e segna la seconda uscita americana dall’organizzazione dopo quella del 2017. Secondo la Casa Bianca, l’Unesco avrebbe sostenuto cause “divisive e ideologiche”, tra cui politiche di diversità, equità e inclusione, e avrebbe mostrato pregiudizi pro-palestinesi e pro-Cina. Il Dipartimento di Stato ha definito l’organizzazione “non in linea con la politica estera America First” e ha criticato l’ammissione dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo. La direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, ha espresso “profondo rammarico” per la decisione, sottolineando che l’organizzazione si era preparata a questo scenario. “Le ragioni addotte dagli Stati Uniti sono le stesse di sette anni fa, sebbene la situazione sia profondamente cambiata”, ha dichiarato Azoulay, difendendo il ruolo dell’Unesco come “forum per il consenso su un multilateralismo concreto”. Israele ha accolto con favore il ritiro, definendolo un “passo necessario” per contrastare la politicizzazione dell’agenzia ONU. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha ringraziato Washington per il “supporto morale e la leadership” nella difesa dei diritti israeliani. Il presidente francese Emmanuel Macron, invece, ha ribadito il proprio “incrollabile sostegno” all’Unesco, definendola “custode universale” della cultura e della scienza. “Il ritiro degli USA non indebolirà il nostro impegno”, ha scritto su X. La mossa di Trump si inserisce in una serie di disimpegni dagli organismi internazionali, tra cui l’OMS e l’Accordo sul clima di Parigi, e alimenta il dibattito sul ruolo degli Stati Uniti nel sistema multilaterale.
