domenica, 13 Luglio, 2025
Economia

Consumi e salari fermi, l’Italia non si arrenda

È urgente un piano di riforme sociali e fiscali che sostengano i redditi, lo sviluppo e diano ai cittadini servizi efficienti a basso costo. I nodi del Paese vanno sciolti per evitare una crisi ancora più profonda

Famiglie e piccole imprese in difficoltà, l’allarme congiunto delle Confederazioni del commercio. I rilievi di Bankitalia sulle incertezze globali che pesano sull’economia

Famiglie in affanno con l’indice del disagio sociale in risalita, l’allarme per i piccoli negozi stretti tra la caduta dei consumi e la pressione fiscale; la crisi degli acquisti con prezzi per alimentari ed energia in costante crescita. Il potere di acquisto che si riduce per lavoratori e piccoli imprenditori alle prese con salari bassi, inflazione e incertezze globali.

Il quadro economico che emerge dai nuovi rapporti di Confcommercio, Confesercenti, OCSE e Bankitalia che quasi all’unisono evidenziano una crescente fragilità sociale e produttiva. In sintesi i consumi stagnano, i salari sono fermi, e la piccola impresa arretra. Sono temi e problemi che ad un giornale popolare come il nostro interessano in modo particolare, tanto da spingerci a chiedere alla politica e al Governo una maggiore concentrazione rivolta ai temi nazionali che sono diventati altrettanto urgenti rispetto alle crisi globali.

Uno sguardo a ciò che è stato sottolineato nelle ultime ore da Associazioni di categoria, Enti e da istituzioni come Bankitalia può aiutare a capire le difficoltà e trovare delle soluzioni.

La crisi dei piccoli negozi

Il termometro della difficoltà economica delle famiglie italiane ci viene riferito da Confcommercio quando sottolinea come il Misery Index, l’indicatore che somma le difficoltà di famiglie e singoli soggetti, nell’affrontare le spese ha registrato un nuovo rialzo, segnalando un crescente disagio sociale. A pesare di più sui bilanci delle famiglie sono i rincari dei generi alimentari e delle tariffe energetiche. Fare la spesa è diventato sempre più oneroso, specialmente per i nuclei a basso reddito.

Confesercenti invece lancia l’allarme dal fronte delle imprese: i piccoli negozi, soprattutto quelli a conduzione familiare e con superfici ridotte, stanno scomparendo. La crisi dei consumi, combinata all’aumento dei costi fissi e alla concorrenza dell’e-commerce e della grande distribuzione, sta provocando un’ondata silenziosa ma costante di chiusure. Il tessuto commerciale dei quartieri, una volta cuore delle città, si sta impoverendo. Per dirla con le parole della Confesercenti le vetrine dei negozi sono ormai “oasi” che resistono in una desertificazione dei quartieri. Il dato numerico è per così devastante per un Paese come il nostro che del piccolo commercio aveva fatto una realtà economica e di lavoro unica in Europa. Nel 2024 segnala la Confesercenti in media, ogni giorno, hanno chiuso le saracinesche circa 169 attività commerciali.

Salari bassi e consumi giù

Come spendere se i soldi non ci sono? È il senso del rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, (Ocse) che rafforza il quadro critico già espresso dalle Confederazioni del commercio: i salari in Italia non solo restano tra i più bassi dell’Europa occidentale, ma hanno anche perso terreno rispetto agli anni pre-crisi. Mentre altri Paesi hanno adeguato le retribuzioni almeno in parte all’inflazione e alla crescita della produttività, in Italia i salari reali sono rimasti sostanzialmente fermi, rendendo sempre più difficile per le famiglie affrontare l’aumento del costo della vita. Lo scenario che si preannuncia se non ci sarà una svolta è difficile anche da immaginare: avremo un aumento dell’invecchiamento della popolazione, che porterà con sé una significativa carenza di manodopera che diminuirà dell’ 8% e un drastico rialzo della pressione fiscale per mantenere in piedi servizi essenziali, dalla scuola alla sanità alle pensioni.

Il monito di Bankitalia

Anche Bankitalia, nel suo ultimo bollettino economico, traccia un quadro prudente e preoccupato. Il governatore Fabio Panetta osserva come “il quadro previsivo è soggetto a una significativa incertezza, riconducibile in particolare all’evoluzione delle tensioni geopolitiche e commerciali”. In questo scenario bisogna anche calcolare l’imposizione di nuovi dazi statunitensi al 30% che avrà un impatto sulle prospettive di un terzo delle imprese manifatturiere italiane che, ha evidenziato Panetta, “prevedono un impatto negativo sulla domanda e sugli investimenti già nel 2025”

Investire per un Paese unito

Sono fatti, numeri e ricerche che non possono rimanere nei cassetti o animare qualche dibattito. Per ridare forza al tessuto economico italiano bisogna investire culturalmente in una nuova stagione di politiche popolari, che siano orientate alla redistribuzione e al sostegno dei ceti più deboli. Pensiamo ad esempio ad un piano per la terza età, quindi ad un sistema sanitario pubblico che dia risposte e offra assistenza migliore ad una emergenza che rischia di sfuggirci dalle mani.

L’esempio nella storia, la Dc

La crisi attuale non è solo economica, ma anche politica e sociale. Serve un cambio di orizzonte. Negli anni ’60 e ’70, sotto la guida della Democrazia Cristiana, l’Italia conobbe un modello di sviluppo inclusivo: il welfare venne potenziato, la casa con il piano casa del ministro Amintore Fanfani e per iniziativa del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, il Servizio sanitario nazionale e l’istruzione furono rese accessibili, e vennero realizzati interventi di sostegno ai redditi più bassi, favorendo la coesione sociale.

Oggi, una nuova politica popolare deve partire da qui. Da una riforma del welfare, con l’adeguare sussidi, assegni familiari e detrazioni al reale costo della vita, con strumenti mirati per i nuclei più fragili. Bisogna e lo ribadiamo da tempo, dare sostegno ai salari in particolare quelli dei giovani, rafforzare la contrattazione collettiva.

Imprese da liberare

Le piccole imprese invece hanno bisogno di sgravi fiscali, semplificazioni burocratiche e incentivi per la digitalizzazione e la transizione ecologica dei piccoli negozi. In più sappiamo che troppi imprenditori finiscono sotto il pesante maglio della Centrale rischi finanziari, che diventa un incubo per cittadini e piccoli imprenditori a cui hanno poi negato ogni accesso al credito.

Cose fare per crescere

Se vogliamo dare una scossa positiva al Paese servono Piani pubblici di investimento sociale, per nuovi asili, una efficiente sanità territoriale, un programma di edilizia popolare, un migliorare i trasporti locali, in particolare per i centri montani che sono a rischio spopolamento proprio per la carenza di servizi pubblici. Serve un programma di interventi che alleggerisca le spese delle famiglie e stimolano l’occupazione. Tutto questo per far rimanere coese intere fasce sociali, quella delle famiglie lavoratrici e dei piccoli imprenditori, allo sforzo di crescita del Paese. Lo ribadiamo servono scelte politiche coraggiose, ispirate non solo alla logica del rigore, ma a quella della solidarietà e dell’inclusione.

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