Stesso reddito, tasse molto diverse: è questa la fotografia scattata dalla UIL in uno studio dedicato alle addizionali Irpef comunali e regionali nei capoluoghi italiani. A Roma, un contribuente con un reddito lordo annuo di 40.000 euro paga 1.452 euro di addizionali; a Milano, con lo stesso reddito, ne versa appena 778. Una differenza di 674 euro che evidenzia in modo netto la profonda disomogeneità fiscale sul territorio nazionale. Lo studio, realizzato dal Servizio Stato Sociale, Politiche Fiscali e Previdenziali della Uil, guidato dal Segretario confederale Santo Biondo, ha analizzato due fasce di reddito (20.000 e 40.000 euro) utilizzando le aliquote in vigore pubblicate ufficialmente da Comuni e Regioni. L’obiettivo è rendere chiaro e accessibile il peso effettivo delle imposte locali per i cittadini italiani, e mostrare quanto incida la residenza sul bilancio personale.
Tra chi dichiara 40.000 euro, le città dove si paga di più sono Salerno, con 1.468 euro, seguita da Roma con 1.452 euro, Avellino e Napoli con 1.428 euro, poi Frosinone, Latina e Rieti con 1.412 euro. A chi vive a Cagliari o Milano il carico risulta quasi dimezzato: 778 euro. Anche per chi guadagna 20.000 euro l’anno la disparità resta forte: 686 euro a Vibo Valentia, 627 a Salerno, 607 ad Avellino e Napoli, 606 a Roma. A Milano, la cifra si ferma a 263 euro. In città come Bolzano, Trento, Firenze, Enna e Mantova, l’addizionale comunale è pari a zero per i redditi da 20.000 euro, e resta azzerata anche per quelli da 40.000 solo in Trentino-Alto Adige.
Fisco diseguale
Secondo la Uil, il sistema attuale crea un evidente squilibrio: cittadini con lo stesso reddito pagano imposte molto diverse solo in base al luogo in cui abitano. Una stortura che si aggiunge a un quadro fiscale già poco progressivo a livello nazionale. Come sottolinea Santo Biondo, “i contribuenti a reddito medio-basso risultano doppiamente penalizzati: pagano di più per avere meno”. Le addizionali Irpef, infatti, servono spesso a coprire i tagli dei trasferimenti statali verso i territori, senza tradursi in un reale miglioramento dei servizi pubblici. Il risultato è che la pressione fiscale cresce, mentre l’offerta di sanità, scuola, trasporti e assistenza non migliora in modo proporzionale.
Per il sindacato, è urgente una riforma della fiscalità locale che metta al centro l’equità. Servono criteri più omogenei e meccanismi più trasparenti. La Uil propone che le addizionali comunali e regionali seguano una logica progressiva, che protegga le fasce più deboli, e che il loro utilizzo venga tracciato in modo chiaro. È necessario stabilire un legame diretto tra le imposte versate dai cittadini e i servizi pubblici ricevuti, evitando che i territori più fragili vengano lasciati soli a fronteggiare i propri squilibri finanziari. La riforma deve inoltre prevedere una clausola sociale che impedisca un uso distorto della leva fiscale locale.
Autonomia sì, ma con garanzie per tutti
Il tema si inserisce in un dibattito più ampio, quello sull’autonomia differenziata. La Uil chiede che qualsiasi forma di maggiore autonomia sia accompagnata da meccanismi di perequazione nazionale forti ed efficaci. Altrimenti, avverte il sindacato, il rischio è quello di aggravare i divari esistenti tra Nord e Sud, tra Comuni ricchi e Comuni in difficoltà. La funzione dello Stato deve restare centrale nella garanzia dei livelli essenziali di servizi su tutto il territorio. Nessun cittadino deve essere costretto a pagare di più solo perché risiede in una zona con minori risorse o con bilanci locali più fragili.
Alla base di tutto c’è una visione precisa: la giustizia fiscale non è solo un obiettivo economico, ma il pilastro di un patto sociale che tenga insieme cittadini e istituzioni. Dove il sistema è equo, la fiducia cresce. Dove invece si percepisce iniquità, si diffonde sfiducia. Per questo, secondo la Uil, serve una fiscalità locale più giusta, trasparente e orientata alla qualità dei servizi. Un fisco che non divida il Paese ma lo tenga unito. Un fisco che rispetti il lavoro, tuteli i più fragili e aiuti a ricostruire un senso condiviso di cittadinanza.