lunedì, 7 Luglio, 2025
Esteri

Stallo sulla tregua, Netanyahu vola da Trump mentre i negoziati si spostano a Doha

Herzog a Netanyahu: "Firmi accordo". Ben-Gvir: “Bisogna conquistare Gaza”

Dopo giorni di attese e trattative, lo scenario mediorientale resta teso e instabile. A Doha riprenderanno oggi nuovi colloqui per cercare un accordo tra Israele e Hamas, mentre la Striscia di Gaza è stata teatro di nuovi raid aerei che hanno causato almeno 30 morti. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, diretto alla Casa Bianca per incontrare Donald Trump, ha definito “inaccettabili” le modifiche richieste da Hamas alla proposta americana. Sul fronte interno, cresce la pressione politica e militare, mentre il presidente Herzog invita Netanyahu a firmare un accordo “anche se doloroso”. Un nuovo round di negoziati tra Israele e Hamas si apre oggi a Doha, in Qatar. Al tavolo, insieme ai mediatori, ci saranno rappresentanti del Mossad e dello Shin Bet. La proposta americana – articolata in cinque fasi e volta al rilascio di circa metà degli ostaggi ancora in vita e metà dei corpi dei deceduti – è stata accettata da Israele, ma Hamas ha presentato tre modifiche considerate inaccettabili da Netanyahu. Nonostante ciò, il premier ha autorizzato la delegazione israeliana a partecipare ai colloqui, sottolineando che l’obiettivo resta il ritorno degli ostaggi. “Le modifiche proposte da Hamas sono irricevibili”, ha dichiarato l’ufficio del primo ministro, “ma Israele proseguirà i negoziati sulla base della proposta del Qatar già approvata”. Prima della partenza per Washington, Netanyahu ha incontrato il presidente Isaac Herzog, che ha invitato il governo a “fare scelte coraggiose”. In una nota ufficiale, Herzog ha dichiarato: “Sostengo pienamente gli sforzi per raggiungere un accordo, anche se comportano decisioni dolorose. Il costo non è semplice, ma abbiamo il dovere di affrontare questa sfida”. Oggi, Netanyahu vedrà il presidente statunitense Donald Trump, in un incontro cruciale sia sul piano militare sia su quello diplomatico. L’ala ultranazionalista del governo israeliano alza la voce contro la linea diplomatica. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato su X: “L’unica via per la vittoria e per il ritorno degli ostaggi è la conquista totale della Striscia di Gaza, la sospensione degli aiuti umanitari e l’incoraggiamento all’emigrazione”. Una posizione che evidenzia le divisioni interne all’esecutivo israeliano.

130 obiettivi colpiti a Gaza

Mentre le trattative arrancano, l’offensiva militare continua. Nelle ultime 24 ore, l’Idf ha colpito oltre 130 obiettivi nella Striscia, inclusi centri di comando, depositi d’armi e postazioni di lancio. A Khan Younis, le forze israeliane hanno sequestrato equipaggiamenti militari e smantellato cunicoli sotterranei. Operazioni analoghe si sono svolte anche a Rafah e Gaza City, dove unità d’élite hanno eliminato cellule terroristiche e distrutto infrastrutture strategiche.

La “milizia alleata”: Abu Shabab sfida Hamas

Una novità inquietante nel panorama bellico è l’emergere delle “Forze popolari” di Yasser Abu Shabab, un gruppo armato palestinese che, secondo lo stesso leader, collabora con l’esercito israeliano nella lotta contro Hamas. Intervistato dalla radio pubblica israeliana in arabo, Abu Shabab ha ammesso contatti regolari con l’Idf, rivendicando piena autonomia operativa. La risposta di Hamas e della Jihad islamica non si è fatta attendere: hanno accusato il gruppo di “tradimento” e lanciato minacce di morte. L’autorità giudiziaria di Hamas ha intimato ad Abu Shabab di costituirsi entro dieci giorni, pena un processo in contumacia. Il gruppo opera nella regione di Rafah e viene accusato anche di aver saccheggiato camion di aiuti umanitari.

Cisgiordania: Tulkarem rasa al suolo dai bulldozer

Intanto si aggrava la situazione in Cisgiordania. Nella città di Tulkarem, l’esercito israeliano ha demolito due campi profughi in una vasta operazione di “caccia ai militanti”. Ai residenti è stato concesso solo qualche ora per recuperare i beni prima che i bulldozer radessero al suolo le abitazioni. L’esercito ha annunciato la demolizione di altri 104 edifici nei prossimi giorni. La popolazione teme che, oltre alle case, venga cancellata la propria identità di rifugiati storici. Il “diritto al ritorno”, da sempre al centro del conflitto, torna così al centro del dibattito.

Hebron: cinque sceicchi propongono un emirato filo-israeliano

In Cisgiordania, cinque leader tribali di Hebron hanno scritto al ministro israeliano dell’Economia Nir Barkat per esprimere la volontà di aderire agli Accordi di Abramo, respingendo la soluzione dei due Stati. La proposta prevede la creazione di un emirato autonomo che riconosca Israele come Stato nazionale del popolo ebraico, in cambio del riconoscimento dell’Emirato di Hebron da parte di Israele. Il ministro Barkat ha accolto con favore la proposta, definendo fallito il paradigma dei due Stati. “Chi in Israele dirà di no a Jaabari?”, ha commentato, riferendosi allo sceicco promotore dell’iniziativa. Tuttavia, molti altri leader locali hanno scelto di restare anonimi, temendo ritorsioni.

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