Migliaia di manifestanti si sono radunati il 28 giugno nel cuore della capitale thailandese per chiedere le dimissioni della prima ministra Paetongtarn Shinawatra, travolta dalle polemiche per una telefonata trapelata con l’ex premier cambogiano Hun Sen. La conversazione, resa pubblica da fonti cambogiane, ha scatenato un’ondata di indignazione nazionale, alimentando accuse di tradimento e favoritismo verso Phnom Penh. Nel colloquio, Paetongtarn si sarebbe riferita a un alto comandante dell’esercito thailandese come a un “avversario” e avrebbe chiamato Hun Sen “zio”, in un tono giudicato eccessivamente confidenziale. Il tutto nel contesto di una disputa di confine tra Thailandia e Cambogia, degenerata in uno scontro armato a maggio, in cui ha perso la vita un soldato cambogiano. La protesta, che ha visto la partecipazione di oltre 10.000 persone secondo gli organizzatori, si è svolta nei pressi del Monumento alla Vittoria, simbolo delle mobilitazioni civiche. I manifestanti, guidati da veterani del movimento delle “Camicie Gialle”, hanno sventolato bandiere e cartelli con scritte come “Malvagio Primo Ministro, vattene!” e “Tradimento non si perdona”. La crisi politica si è aggravata con l’uscita del partito Bhumjaithai dalla coalizione di governo, che ha lasciato la premier con una maggioranza risicata in Parlamento. Una mozione di sfiducia è attesa nei prossimi giorni, mentre la Corte Costituzionale dovrà esprimersi sulla legittimità della sua permanenza in carica. Paetongtarn, figlia dell’ex premier Thaksin Shinawatra, ha chiesto scusa pubblicamente, ma ha escluso le dimissioni. “Ho commesso un errore di tono, non di sostanza”, ha dichiarato in conferenza stampa, affiancata da alti ufficiali militari in un tentativo di ricompattare il fronte interno.