In Italia le piccole imprese pagano la luce e il gas molto di più rispetto alle grandi industrie. A lanciare l’allarme è l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre che denuncia un differenziale energetico “spaventoso” a svantaggio di artigiani, commercianti, esercenti e piccoli imprenditori. I dati sono eloquenti: nel 2024 il prezzo dell’elettricità per le micro e piccole imprese è stato del 55% superiore a quello sostenuto dalle grandi realtà produttive, mentre per il gas il rincaro ha raggiunto addirittura il 108%. In numeri, le piccole aziende italiane hanno speso mediamente 218,2 euro a Megawattora (MWh) per l’energia elettrica, contro i 140,4 euro delle grandi. Ancora più netto il divario per il gas: 99,5 euro/MWh per le piccole contro 47,9 euro/MWh per le grandi. Una forbice che si è allargata rispetto al 2022, nonostante i prezzi della materia prima siano scesi dai picchi della crisi russo-ucraina.
Un’anomalia non nuova, ma particolarmente dannosa in Italia dove, come ricorda la Cgia, le microimprese (con meno di 20 addetti) rappresentano il 98% del totale delle imprese e impiegano il 60% degli occupati del settore privato.
Italia maglia nera in Europa
Sebbene una certa differenza di prezzo tra piccole e grandi imprese sia presente in tutta Europa, in nessun altro Paese questa disparità è così pesante come in Italia. E mentre i colossi industriali riescono a negoziare condizioni favorevoli, beneficiare di sconti e accedere a contratti pluriennali stabili, le Pmi acquistano poca energia, pagano quote fisse alte e non accedono a benefici strutturali. Tra gli elementi che fanno lievitare le bollette delle piccole imprese ci sono i costi di rete, le tasse e gli oneri di sistema, che rappresentano il 40% del prezzo finale per i piccoli, contro il 17% per i grandi. Inoltre, le agevolazioni previste per le aziende energivore escludono quasi sempre i piccoli imprenditori.
I rincari colpiscono duramente i settori energivori, sia sul fronte gas che elettricità. In sofferenza risultano comparti strategici come vetro, ceramica, plastica, meccanica pesante, alimentare, chimica e laterizi. Sul fronte elettrico, l’allarme arriva da acciaierie, fonderie, bar, ristoranti, alberghi, negozi, centri commerciali e servizi culturali e ricreativi.
Cinque milioni di italiani in povertà energetica
Molti i distretti produttivi in allerta: tra i più esposti vi sono il cartario di Lucca, la plastica nel Triveneto, i metalli bresciani, il metalmeccanico mantovano e lecchese, le piastrelle di Sassuolo, il vetro di Murano. “Per ora la situazione resta sotto controllo, avverte la Cgia, ma eventuali nuovi shock sui prezzi delle materie prime potrebbero portare a una nuova ondata di crisi”. L’effetto domino dei rincari energetici non si ferma alle imprese. Secondo i dati 2023 dell’Oipe (Osservatorio italiano sulla povertà energetica) 2,4 milioni di famiglie italiane, pari a 5,3 milioni di persone, vivono in condizioni di povertà energetica: abitazioni fredde in inverno, calde d’estate, illuminazione scarsa e uso ridotto degli elettrodomestici. Il fenomeno è particolarmente grave al Sud, con Calabria, Basilicata, Molise, Puglia e Sicilia in testa alla classifica della sofferenza.
Pensionati e disoccupati, più colpiti
Il profilo più tipico del capofamiglia in povertà energetica è quello del disoccupato, del pensionato solo o del lavoratore autonomo, che spesso non riesce a sostenere i costi del riscaldamento domestico. “Moltissimi artigiani e piccoli commercianti hanno pagato due volte: come utenti domestici e come microimprenditori” sottolinea la Cgia.
La disparità di trattamento tra grandi e piccole imprese nella spesa energetica rappresenta un freno all’economia reale: “In un Paese come l’Italia, dove il tessuto produttivo è fatto soprattutto di microimprese questa situazione è non solo ingiusta, ma anche insostenibile. Serve un riequilibrio strutturale delle tariffe e un sistema di agevolazioni più equo. Non possiamo permetterci che il cuore pulsante dell’economia italiana venga spento dalle bollette”, l’amara conclusione della Cgia.