Le strade del Kenya si sono trasformate in un campo di battaglia. Le proteste guidate dalla Generazione Z, scoppiate il 18 giugno contro la controversa legge finanziaria proposta dal governo, hanno raggiunto un nuovo livello di violenza: otto manifestanti sono morti e oltre 500 persone sono rimaste ferite in scontri con la polizia in diverse città del Paese. La miccia è stata accesa da un disegno di legge che prevedeva un aumento delle tasse per circa 2,7 miliardi di dollari, in cambio di un prestito del Fondo Monetario Internazionale. Ma la rabbia dei giovani è esplosa ben oltre la questione fiscale: al centro delle proteste ci sono corruzione, disuguaglianze e repressione politica. A Nairobi, Kitengela e Makueni, le forze dell’ordine hanno usato lacrimogeni, proiettili veri e idranti per disperdere i cortei. In alcuni casi, i manifestanti hanno risposto con blocchi stradali e lanci di pietre. Le immagini trasmesse in diretta mostrano arresti arbitrari, violenze e un clima di crescente tensione. Secondo la Commissione nazionale kenyana per i diritti umani, il bilancio complessivo delle proteste è salito a 53 morti, 574 feriti e oltre 1.000 arresti. Tra le vittime anche una giornalista colpita a una gamba e uno studente universitario ritrovato morto in circostanze sospette. Il presidente William Ruto, inizialmente aperto al dialogo, ha ora accusato alcune ONG e fondazioni straniere – tra cui la Ford Foundation – di fomentare le proteste, alimentando anche tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Le organizzazioni accusate hanno smentito ogni coinvolgimento. La Gen Z, nata e cresciuta nell’era digitale, ha trasformato il dissenso in un movimento nazionale, coordinato sui social con hashtag come #RejectFinanceBill2024. Dopo aver ottenuto il ritiro della legge, ora chiede le dimissioni del presidente, lo scioglimento del governo e una nuova leadership politica.