Con una decisione destinata a far discutere, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha autorizzato l’amministrazione Trump a deportare rapidamente alcuni immigrati in “Paesi terzi”, anche se non sono quelli di origine. La misura, sostenuta dal Dipartimento della Sicurezza Interna, consente il trasferimento di migranti in nazioni terze senza preavviso e con possibilità limitate di ricorso. La sentenza, emessa a maggioranza il 7 aprile, si basa sull’attivazione dell’Alien Enemies Act, una legge del 1798 raramente utilizzata, che permette l’espulsione di stranieri considerati una minaccia in tempi di conflitto. Secondo la Corte, l’amministrazione ha il diritto di applicare la norma per motivi di sicurezza nazionale, anche in assenza di un conflitto formale. La decisione ha suscitato forti reazioni. I giudici progressisti hanno espresso dissenso, in particolare la giudice Ketanji Brown Jackson, che ha definito la misura “potenzialmente devastante per migliaia di persone”. Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato il rischio di deportazioni verso Paesi instabili, come il Sud Sudan, dove alcuni migranti sarebbero già stati trasferiti senza possibilità di contattare i propri avvocati. Secondo il governo, la politica include “garanzie diplomatiche” per evitare violazioni dei diritti umani, ma gli attivisti contestano la mancanza di trasparenza e il rischio di persecuzioni. Il Dipartimento di Giustizia ha difeso la misura come “necessaria per affrontare la crisi migratoria e proteggere la sovranità nazionale”. Donald Trump ha celebrato la sentenza come “una vittoria per la sicurezza americana”, mentre i critici parlano di un pericoloso precedente legale che potrebbe compromettere il diritto d’asilo e il principio del non-refoulement sancito dal diritto internazionale.