Dopo oltre tre mesi di detenzione in un centro ICE in Louisiana, Mahmoud Khalil, studente palestinese della Columbia University e volto simbolo delle proteste pro-Palestina nei campus americani, è stato rilasciato su ordine di un giudice federale. La decisione, accolta con applausi dai suoi sostenitori, arriva in un momento di forte tensione politica e sociale negli Stati Uniti. Khalil, 27 anni, era stato arrestato a marzo con l’accusa di aver violato norme sull’immigrazione, ma secondo il giudice Michael Farbiarz, la detenzione era “motivata da intenti punitivi” legati al suo attivismo. “C’è un fondo di verità nell’affermazione secondo cui si sta tentando di usare l’accusa di immigrazione per punire il signor Khalil”, ha dichiarato il magistrato, definendo la misura “incostituzionale”. Il giovane, che ha guidato le manifestazioni contro la guerra a Gaza nel campus della Columbia, era l’ultimo tra i principali attivisti ancora in carcere. L’amministrazione Trump lo aveva accusato di legami con Hamas e di promuovere l’antisemitismo, senza però fornire prove concrete. La sua famiglia – la moglie e il figlio neonato – sono cittadini statunitensi. La scarcerazione è stata accolta con entusiasmo da numerosi gruppi per i diritti civili, che hanno denunciato la vicenda come un “tentativo intimidatorio di reprimere il dissenso”. Tuttavia, l’amministrazione ha ancora la possibilità di procedere con l’espulsione, nonostante la decisione del giudice. Il caso Khalil riaccende il dibattito sulla libertà di espressione nei campus e sull’uso delle leggi sull’immigrazione come strumento politico. Per molti, la sua liberazione rappresenta una vittoria simbolica in un clima sempre più polarizzato.