mercoledì, 18 Dicembre, 2024
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“Fortezza Europa” e nuovi legami Italia-Usa

Nell’Ottobre del 1988, durante un gala della NIAF (National Italian American Foundation) all’Hilton International di Washington cui partecipava la crema del potere italo americano, i candidati alla presidenza Bush e Dukakis, in un incontro con i giornalisti, Bettino Craxi e Gianni Agnelli ci raccontarono del timore che avevano percepito nell’establishment americano per la costituzione del mercato unico europeo che sarebbe sopraggiunto nel 1992. “L’America ha paura della fortezza Europa” ci disse l’Avvocato. In quegli anni l’Unione sovietica era in piena crisi e la Cina di Deng Xiaoping era ancora un Paese povero in via di sviluppo.

A distanza di 32 anni gli USA hanno ancora motivo di temere la potenza di fuoco economica dell’Europa?

Certamente l’integrazione economica ma soprattutto monetaria hanno rafforzato l’immagine di grande potenza dell’Europa. Ma se guardiamo ai numeri reali non è poi proprio così. L’Europa post Brexit ha 446 milioni di abitanti. Gli Stati Uniti ne contano 330 milioni. Nel 2018 il PIL dei 28 europei era di 15.880 MLD di euro, sottraendo i 2,4MLD del Regno Unito, prima degli sconvolgimenti della pandemia l’Europa realisticamente si attestava intorno a 13.500 MLD con un PIL pro capite di 30,9 mila euro. Negli Usa nel 2018 il PIL era pari a 20,54 MLD di dollari, quello pro capite era il doppio di quello europeo , 62,7 mila dollari.

Le distanze tra Europa e Stati Uniti rimangono ancora molto ampie mentre si accorciano quelle tra Europa e Cina.

Con 1 miliardo e 393 milioni di abitanti, la Cina ha raggiunto nel 2018  un PIL di 13.600 MLD di dollari con un PIL pro capite pari a 9.770 dollari.

Gli equilibri economici mondiali stanno rapidamente cambiando ed è giunto il momento di rivedere vecchi schemi.

Fu un errore, comprensibile all’epoca, pensare che l’Europa unita potesse mettersi in competizione con gli Stati Uniti, quando ancora sulla scena mondiale non aveva fatto irruzione la Cina. Oggi ha ancora senso usare gli stessi parametri? Assolutamente no.

L’Europa si dimostra un gigante schizofrenico che cresce molto meno di quel che potrebbe a causa di un’integrazione non completa e del prevalere di egoismi nazionali.

In Europa ci sono 27 economie che invece di integrarsi e di creare catene del valore, colossi industriali europei ed eccellenze comuni sono tra loro in una competizione spesso più spietata di quella che si immaginava ci potesse essere tra Europa e Stati Uniti. Neanche tra i 17 Paesi dell’area euro, che oltre al mercato comune condividono anche la moneta, c’è un minimo di cooperazione e di accettazione di regole fiscali comuni. La schizofrenia di Paesi che si definiscono Uniti ma non si aiutano, si fanno guerre commerciali senza avere strategie comuni è il vero tallone d ‘Achille di un ‘Europa che in queste condizioni non potrà mai diventare fortezza.

Nel frattempo è la Cina che sta diventando una vera fortezza. Il suo espansionismo economico e  geopolitico è stato facilitato non solo dal regime autocratico del partito unico detentore di un potere assoluto, ma anche dall’inerzia di precedenti amministrazioni americane che hanno sottovalutato la portata dell’avanzata cinese e hanno addirittura conferito dei vantaggi competitivi all’economia della Cina oltre a vendere a Pechino quote consistenti del debito pubblico degli USA. Una serie di errori di cui oggi si vedono le conseguenze. Alla luce di queste novità, per molti versi preoccupanti, buon senso vorrebbe che tra Stati Uniti ed Europa si passasse dalla diffidenza ad una forma di cooperazione più stretta che potrebbe allargarsi anche all’economia del Giappone.

Può sembrare un’utopia immaginare che Stati Uniti, Europa e Giappone creino tra loro regole di libero scambio e di cooperazione rafforzata soprattutto in quei settori dove la pressione dell’economia cinese farà sentire nei prossimi decenni il suo peso crescente. Un mercato integrato tra 446 milioni di europei, 330 milioni di americani e 126 milioni di giapponesi avrebbe un PIL totale pari a 40 trilioni di dollari (quasi il 40% del PIL mondiale).

Purtroppo, fino a quando l’Europa non “rinsavirà” e non si comporterà come un soggetto economico unico  quest’ipotesi di collaborazione euro-atlantica rimarrà sulla carta. Per l’Italia c’è il rischio che la Cina, già presente nel capitale di importanti nostre  aziende riesca ad attrarre nella sua orbita ampi settori dell’industria italiana.

In questo contesto nessuno vieta all’Italia di muoversi con autonomia rispetto all’inesistente politica industriale e commerciale comune europea e di cercare una collaborazione più stretta con l’economia americana.

Il brillante doppio salvataggio Fiat- Chrysler è rimasto un caso isolato eppure è stato un successo. In tanti settori si potrebbero delineare forme di integrazione tra aziende americane e italiane con l’obiettivo di rafforzarsi reciprocamente e di creare nuovi campioni industriali. Una strategia di più ampio respiro potrebbe riguardare anche l’ingresso di capitali americani nelle industrie italiane.

Nei prossimi mesi in cui assisteremo a sconvolgimenti rilevanti di ampi settori economici potrebbe essere importante studiare delle soluzioni che facciano leva su questa nuova frontiera di integrazione economica italo-americana che serva a rafforzare entrambi i Paesi sei settori dove la cooperazione reciproca può fare la differenza.

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