Non è stata di certo una giornata facile quella di ieri per il Papa a causa del nuovo conflitto che ora vede scontrarsi Israele e Iran. E ieri dunque la sua voce si è elevata più dura che mai, con l’obiettivo di scuotere in qualche modo le coscienze. Il tutto è avvenuto nella sua lettera per la ‘IX Giornata mondiale dei poveri’; l’occasione per Leone XIV di richiamare il mondo a una verità dimenticata: “La più grave povertà è non conoscere Dio”. Non è stato un semplice invito alla carità materiale, ma una denuncia culturale, politica e spirituale che affonda le radici nella visione cristiana della persona e della società. Il messaggio non si è limitato alla pietà, ma si è proposto come una direzione di marcia per un nuovo umanesimo: un umanesimo del Vangelo, dove la sicurezza non nasce dalle armi, ma dalla giustizia, dove le politiche pubbliche pongano al centro i deboli, dove la speranza si declini in scelte concrete e non si disperda nei formalismi.
Leone XIV ha ripreso con forza le parole di Bergoglio nella ‘Evangelii gaudium’, ricordando che “la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale”. Nel mondo secolarizzato che mette Dio tra parentesi, i poveri sono spesso visti solo come “problema sociale” o “target assistenziale”. Ma il Santo Padre ribalta la prospettiva: chi non conosce Dio, chi ne ignora la presenza salvifica, è il più povero tra i poveri, anche se seduto sul trono del potere o sommerso dalle ricchezze.
Dio primo tesoro dell’uomo
È qui che si innesta la visione più radicale del messaggio: la povertà materiale non può essere separata da quella spirituale, e ogni vera politica di riscatto umano deve nutrirsi anche della Parola, della fede, dei sacramenti, del senso di comunità. Ha scritto il Pontefice: “Le ricchezze spesso illudono e portano a situazioni drammatiche di povertà, prima fra tutte quella di pensare di non avere bisogno di Dio”. Il messaggio si è aperto con le parole del Salmo 71: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza”, e su questo versetto si è sviluppata l’intera meditazione. La speranza non come sentimento vago o ottimismo di maniera, ma come forza teologica, come ancoraggio alla fedeltà di Dio, che dà senso alla vita anche nelle tribolazioni. Il povero, in questa visione, non è solo destinatario di aiuto, ma testimone vivente di una speranza che va oltre il possesso.
In un mondo che misura tutto in base all’efficienza, il povero svela un’altra logica: quella del Vangelo. È fragile, spesso emarginato, ma aperto alla fede come a un bene essenziale, non accessorio. Non ha “garanzie” né “coperture”, e proprio per questo può insegnare al mondo la fiducia radicale in Dio.
Deboli ed emarginati al centro delle politiche
Il Papa non si è fermato a considerazioni spirituali. Ha denunciato apertamente le cause strutturali della povertà, e ha invitato governi e istituzioni a ripensare il proprio paradigma di sviluppo: “Gli ospedali e le scuole dovrebbero essere elementi fondamentali delle politiche pubbliche di ogni Paese, ma guerre e disuguaglianze ancora lo impediscono”. Le parole sono state dure e precise: “La povertà ha cause strutturali che devono essere affrontate e rimosse”. Non basta quindi la beneficenza episodica o la generosità dei singoli. Serve un impegno sistemico, che restituisca dignità alle persone, ponendo i deboli e gli emarginati al centro dell’agenda pubblica. La Giornata Mondiale dei Poveri diventa allora non una ricorrenza liturgica, ma un grido profetico che obbliga tutti – credenti e non – a interrogarsi sulle proprie scelte.
In uno dei passaggi più forti, il Vescovo di Roma ha spiegato che la sicurezza vera non nasce dalle armi. Parole che sono risuonate con forza in un tempo segnato da conflitti devastanti, nuove corse agli armamenti, militarizzazione delle frontiere: “Lavoro, istruzione, casa, salute sono le condizioni di una sicurezza che non si affermerà mai con le armi”, le sue parole. È stata di certo questa una dichiarazione scomoda, che ha messo in discussione logiche geopolitiche, bilanci statali, poteri industriali. Eppure, è una verità evangelica che la Chiesa ribadisce da sempre: la pace è frutto della giustizia, non dell’equilibrio del terrore.
Pur nella denuncia, il messaggio è stato attraversato da una vena di fiducia operosa. Il Papa ha elencato i “segni di speranza” che già oggi costellano le periferie del mondo: case-famiglia, mense per i poveri, centri di ascolto, scuole popolari. Realtà spesso invisibili, ignorate dai media, ma veri sacramenti della prossimità.È qui che la Chiesa si gioca la sua credibilità: non nei grandi eventi, ma nella fedeltà quotidiana al Vangelo dei poveri. E Leone XIV lo ha detto con chiarezza: “I poveri non sono un diversivo per la Chiesa, bensì i fratelli e le sorelle più amati”.
Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione
Sempre ieri, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Leone XIV ha presieduto il Concistoro Ordinario Pubblico per il voto su alcune Cause di Canonizzazione. Durante la celebrazione dell’Ora Terza, è stata approvata l’iscrizione all’Albo dei Santi dei seguenti Beati:
Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis (saranno canonizzati domenica 7 settembre); Ignazio Choukrallah Maloyan, Peter To Rot, Vincenza Maria Poloni, Maria del Monte Carmelo RendilesMartínez, Maria Troncatti, José Gregorio Hernández Cisneros, Bartolo Longo (saranno canonizzati domenica 19 ottobre).