mercoledì, 11 Giugno, 2025
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Teatro

Torna in scena “Lazarus”, il lungo addio di David Bowie

Grande prova d’artista per Manuel Agnelli, che si cimenta con l’opera testamento del cantautore britannico al Teatro Argentina di Roma, insieme all’incantevole Casadilego, per la regia di Valter Malosti

Manuel Agnelli, Casadilego e Valter Malosti - ph. ©LailaPozzo
Manuel Agnelli, Casadilego e Valter Malosti – ph. ©LailaPozzo

David Bowie, maestro dell’arte totale, con “Lazarus” ha costruito, insieme al drammaturgo irlandese Enda Walsh, un’opera che trascende il semplice tributo e diventa un dialogo profondo con la mortalità. Nato in parallelo con “Blackstar”, il suo ultimo album, questo lavoro rappresenta la sintesi estrema della sua visione artistica: un testamento che sfida il tempo, trasformando la fine in creazione. A dieci anni dal debutto a New York, l’opera rock torna, fino al 15 giugno, al Teatro Argentina di Roma, con Manuel Agnelli nel ruolo di Newton e la cantautrice Casadilego nel ruolo di Marley, per la regia di Valter Malosti.

Manuel Agnelli e Valter Malosti - ph. ©LailaPozzo
Manuel Agnelli e Valter Malosti – ph. ©LailaPozzo

L’intensità della performance e la fusione tra teatro e musica hanno dato vita a un’esperienza che va oltre la rappresentazione scenica. Un viaggio nell’anima dell’artista, tra nostalgia e rinnovamento. Il risultato è uno spettacolo che non si limita a essere un tributo, ma diventa un viaggio intenso e critico dentro l’eredità del pensiero creativo di Bowie. In linea con il fine del grande teatro, “Lazarus” si rivela un grido artistico contro la caducità dell’esistenza, un’opera che invita a riflettere sull’arte come forma di resistenza contro il nulla e sul suo potere nel dare senso alla vita, prima della sua inevitabile conclusione.

Lazarus, infinito addio di Bowie

Manuel Agnelli - ph. ©FabioLovino
Manuel Agnelli – ph. ©FabioLovino

L’ultima apparizione pubblica di David Bowie si è intrecciata con il debutto di “Lazarus” nel dicembre 2015, un’opera che riflette la sua visione della vita e dell’arte. Riprendendo la storia di Newton da “The Man Who Fell to Earth” di Walter Tevis, David Bowie e Enda Walsh trasformano l’alieno in un riflesso struggente della condizione umana: isolato, tormentato, incapace di trovare una via d’uscita. Il palco diventa una prigione mentale dove realtà e sogno si sovrappongono, e Newton, intrappolato in un limbo tra passato e futuro, incarna la tensione tra sopravvivenza e resa. “Lazarus” non è solo spettacolo, ma un esperimento di “teatro totale”, dove musica, danza e video si fondono per trasmettere l’energia pulsante di Bowie. Il regista Valter Malosti, infatti, descrive Bowie come un’antenna sensibile ai mutamenti del mondo, capace di sintetizzarli in arte immortale. L’opera è, dunque, il lascito dell’artista scomparso nel 2016, una riflessione sul destino, un viaggio di migranti sulla terra, un grido che sfida il tempo e vibra con la forza della sua musica.

Grande successo di pubblico

ph. ©FabioLovino
ph. ©FabioLovino

“Lazarus”, fin dall’apertura della prima scena, si rivela capace di esercitare una seduzione oscura. Il pubblico è richiamato verso un luogo altro rispetto alla realtà, che però non costituisce mai un approdo, ma una sosta. Gli occhi sono costantemente ricondotti a un diverso punto di vista, grazie anche alla scena, che si spande su più livelli e si scompone attraverso diversi schermi. In questo modo ricordi, sogni, pensieri, allucinazioni si mescolano per dirci che la realtà non è mai il tutto. Quello che emerge è l’alienazione che tutti schiaccia, l’impossibilità di vivere e di morire, la fragilità della bellezza, l’innocenza sempre perseguitata da chi l’ha persa.

Manuel Agnelli - ph. ©FabioLovino
Manuel Agnelli – ph. ©FabioLovino

Manuel Agnelli si conferma un mattatore della performance dal vivo, arricchendo il personaggio di una coloritura dolente, che gli conferisce una grande credibilità. Insieme a lui la giovane cantautrice Casadilego, che, con la sua commovente interpretazione, trasporta su note di languida dolcezza, restituendoci la dimensione del sogno, dando spessore alla sottile speranza di un futuro migliore, prima dell’irreversibile caduta.

Particolarmente rilevante, soprattutto per la sapienza mimica, anche la performance attoriale di Dario Battaglia, nel ruolo di Valentine. In generale, eccellenti tutti i performer, ben valorizzati dalla regia coesa e suggestiva di Valter Malosti, che ha saputo restare fedele al pensiero di Bowie senza restarne schiacciato. Le orchestrazioni e gli arrangiamenti originali sono di Henry Hey, il progetto sonoro di GUP Alcaro, collaboratore storico di Malosti, che ha dato vita a una musica dal vivo di grande qualità, grazie agli otto musicisti sulla scena. I diversi applausi a scena aperta testimoniano il valore di uno spettacolo destinato a entrare nel repertorio dell’opera rock.

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