Ancora civili uccisi mentre tentavano semplicemente di procurarsi del pane. Ieri mattina, all’alba, si è consumata a Rafah quella che già molti chiamano l’ennesima “strage del pane”: almeno 58 palestinesi sono morti — tra cui donne e bambini — in seguito a un’azione militare israeliana vicino a un punto di distribuzione di aiuti alimentari. Secondo l’esercito israeliano, i soldati hanno aperto il fuoco “su sospetti” che si sarebbero avvicinati a postazioni militari, ignorando gli avvertimenti. È la terza volta in tre giorni che si verificano episodi simili, in quello che appare sempre più come un tragico pattern. Hamas ha esortato la popolazione a non recarsi nei centri di distribuzione gestiti dalla GHF, accusandoli di essere parte integrante della strategia militare israeliana. Secondo un testimone, Sameh Hamuda, “i droni hanno aperto il fuoco mentre la gente si avvicinava ai camion degli aiuti, seguiti da colpi sparati dai carri armati”. Il portavoce militare israeliano, Effie Defrin, ha respinto ogni accusa, sostenendo che è Hamas a ostacolare la distribuzione degli aiuti e a diffondere menzogne. La tensione resta altissima e la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto. Contemporaneamente a Jabalia, nel nord della Striscia, un bombardamento ha causato la morte di almeno 30 persone — 14 delle quali già identificate, inclusi sei bambini — quando un intero edificio residenziale è stato colpito. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il numero totale delle vittime da inizio guerra ha superato le 54.000.
L’offensiva “Carri di Gedeone” si estende
L’esercito israeliano continua ad avanzare nella Striscia, portando avanti l’operazione denominata “Carri di Gedeone”. Secondo fonti militari, le truppe avrebbero ampliato le operazioni verso Khan Yunis e distrutto depositi di armi, tunnel e infrastrutture sotterranee utilizzate da Hamas. “Avanziamo verso tutti gli obiettivi, indipendentemente dai negoziati in corso”, ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz. A complicare ulteriormente la situazione è la gestione degli aiuti. Il governo Netanyahu, sostenuto dall’amministrazione Trump, ha avviato un nuovo modello di distribuzione tramite la controversa Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione no profit americana che gestisce centri di aiuto protetti da contractor armati e veicoli blindati. L’obiettivo dichiarato è sottrarre il controllo degli aiuti a Hamas e alle agenzie internazionali. Ma l’ONU e varie organizzazioni umanitarie hanno criticato duramente il sistema, denunciando il rischio che i centri di distribuzione diventino bersagli militari.
Onu: “crimini di guerra”
Le Nazioni Unite hanno espresso una ferma condanna. L’Alto Commissario per i diritti umani, Volker Türk, ha parlato apertamente di “crimini di guerra” in riferimento ai raid che hanno colpito i civili in fila per il cibo. “È inaccettabile che i palestinesi debbano rischiare la vita per mangiare. Attacchi letali contro civili disarmati rappresentano una grave violazione del diritto internazionale”, ha dichiarato. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha invocato un’inchiesta indipendente su quanto avvenuto a Rafah, dove nei giorni scorsi si erano già contate almeno 31 vittime in circostanze simili.L’esercito israeliano ammette di aver aperto il fuoco in prossimità dei centri di distribuzione, ma afferma che le truppe avrebbero agito contro persone che si erano allontanate dai percorsi autorizzati e si sarebbero avvicinate “in modo sospetto” alle postazioni militari.
L’Europa prende le distanze
Mentre la situazione sul terreno peggiora, a livello diplomatico si fanno sentire le prime crepe nei rapporti tra Israele e l’Unione Europea. Ieri da Copenhagen la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha dichiarato: “Siamo il principale donatore di aiuti umanitari: abbiamo il dovere di sapere dove vanno a finire e come vengono distribuiti”. Metsola ha confermato che è in corso una revisione dell’accordo di associazione tra Ue e Israele. “Dove vediamo che vite innocenti vengono bombardate indiscriminatamente, saremo i primi a condannare”. Intanto, la Spagna ha deciso di sospendere l’acquisto di armamenti con tecnologia israeliana. Il governo Sanchez ha annunciato un piano per disconnettere progressivamente l’apparato militare spagnolo dalla tecnologia prodotta da aziende come Elbit Systems, accusate di fornire strumentazioni utilizzate nel conflitto contro i palestinesi.
Netanyahu sotto processo
Proprio mentre si moltiplicano le pressioni internazionali sul governo israeliano, il primo ministro Benjamin Netanyahu è comparso nuovamente in tribunale a Tel Aviv, dove è in corso il controinterrogatorio nell’ambito del cosiddetto “Caso 1000”. L’accusa sostiene che Netanyahu abbia ricevuto regali di lusso per un valore di centinaia di migliaia di shekel da noti uomini d’affari in cambio di favori politici. Netanyahu ha respinto ogni accusa, parlando di una “persecuzione politica” e dichiarando di non ricordare molti dettagli: una posizione che il pubblico ministero ha definito “comoda” e contraddittoria rispetto alla memoria “fenomenale” attribuitagli da un suo ex collaboratore. In una conversazione con il Segretario di Stato USA Marco Rubio, il premier avrebbe liquidato il processo come “una barzelletta”.