Quello di ieri si può tranquillamente annoverare come un vero e proprio scontro parlamentare tra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein: un duello ‘rusticano’ che ha infiammato l’Aula di Montecitorio durante il premier time, con la sanità pubblica al centro del dibattito. Da una parte il Premier ha rivendicato gli investimenti del suo governo e l’intenzione di riformare il settore, dall’altra la leader dem ha accusato l’esecutivo di aver abbandonato cittadini e operatori sanitari, tra tagli, promesse mancate e aumento delle diseguaglianze. Meloni ha puntato il dito contro i governi precedenti, accusandoli di immobilismo: “Il Piano sanitario nazionale più recente è del 2011, lo ha scritto un governo di Centrodestra. Il Centrosinistra ha governato per anni senza mai aggiornarlo. Ora ci vengono a spiegare quanto è importante la sanità?”. E ha aggiunto: “Noi vogliamo scrivere un nuovo Piano e speriamo che almeno su questo ci aiutiate, invece di sperare che le cose vadano male per risalire nei sondaggi”.
Non si è fatta attendere la replica di Schlein: “La sanità è al collasso. Mancano 65mila infermieri e 30mila medici, e 40mila sono già fuggiti all’estero. La gente è costretta a scegliere tra curarsi o mangiare. I vostri decreti sulle liste d’attesa sono fuffa”. La segretaria dem ha quindi denunciato la “Tassa Meloni” che renderebbe la cura “un lusso” per molti italiani. Ha mostrato anche un grafico in Aula per dimostrare che la spesa sanitaria in rapporto al Pil ha toccato il minimo storico, contrariamente alla narrazione dell’esecutivo.
I numeri
Meloni ha ribattuto elencando le azioni del suo governo: aumento del Fondo sanitario nazionale a 136,5 miliardi per il 2025, misure contro i medici a gettone, più risorse per le borse di studio, norme più severe per chi aggredisce il personale sanitario, e 870 milioni contro le liste d’attesa. “Quando siamo arrivati il Fondo era a 126 miliardi. I governi Pd non hanno mai fatto aumenti simili”. Ha anche rivendicato interventi su intramoenia, contratto collettivo e investimenti su sicurezza e infrastrutture sanitarie. Ma Schlein ha insistito: “Avete portato la spesa sanitaria al minimo storico in rapporto al Pil. Il piano di assunzioni annunciato è sparito nel nulla. Dopo tre anni, la responsabilità è vostra, non potete più dare la colpa a chi c’è stato prima”. E ha rincarato la dose: “Le vostre politiche favoriscono la privatizzazione strisciante della sanità. Le persone pagano di tasca propria, e chi non può resta indietro. È una vera e propria emergenza democratica”.
In soldoni, il confronto ha fatto emergere due visioni profondamente diverse del servizio sanitario: quella di un governo che afferma di investire in modo concreto, e quella dell’opposizione che denuncia un declino inarrestabile del sistema pubblico. Per Schlein la questione sanitaria è anche un tema di giustizia sociale e di uguaglianza dei diritti. Per Meloni, è invece un banco di prova della serietà dell’esecutivo, lontano da “politiche di bonus e sprechi”.
Altri fronti
Il dibattito si è poi allargato su altri fronti. Sulle spese militari il confronto è diventato ancora più acceso con l’intervento di Giuseppe Conte, che ha criticato l’aumento dei fondi destinati alla difesa. Meloni ha risposto con ironia e durezza: “Mi sorprende questa sua improvvisa passione antimilitarista. Non ricordo che fosse così quando da Premier ha firmato 15 miliardi in spese militari in piena pandemia. Forse era uno degli altri ‘Giuseppi’ che abbiamo conosciuto in questi anni…”. Ha poi sottolineato l’importanza degli investimenti in sicurezza nazionale e il valore strategico di questi fondi in un contesto internazionale instabile. Il Primo Ministro ha poi elencato altre priorità dell’agenda di governo: il dialogo con Stellantis per la tutela dell’occupazione e degli impianti industriali, la lotta al caro energia con un intervento sulla formazione del prezzo, e l’inasprimento delle pene per chi aggredisce agenti delle forze dell’ordine. Su questo punto ha rivendicato la filosofia del suo governo: “Libertà di manifestare, sì, ma senza violenza né insulti a chi serve lo Stato”.
Non sono mancati riferimenti al Green Deal europeo. Meloni ha denunciato una visione “eccessivamente ideologica” dell’ambientalismo, che avrebbe danneggiato l’industria europea. “Abbiamo ottenuto la sospensione delle multe sull’automotive. Le nostre proposte pragmatiche stanno trovando sempre più consenso”, ha affermato, riferendosi ai rapporti avviati con Berlino e ad altri dossier europei su cui il governo vuole giocare un ruolo attivo.
Medioriente
Meloni ha poi parlato del conflitto in Medio Oriente, ribadendo il sostegno a Israele, ma anche la necessità di un impegno diplomatico per proteggere i civili e rispettare il diritto internazionale. “Le conversazioni con Netanyahu sono state difficili, ma abbiamo sempre ribadito l’urgenza di fermare le ostilità e garantire gli aiuti umanitari”, ha detto. Infine, un passaggio sentito sul mondo giovanile. “Da madre prima che da Premier, vedo i rischi che i nostri figli affrontano in un mondo che cambia. Vorrei creare un gruppo di lavoro a Palazzo Chigi per affrontare queste sfide con chi i giovani li conosce davvero. Coinvolgerò tutti i partiti”.
La protesta di Magi
Da segnalare che sempre ieri, e sempre durante il Premier Time, il Deputato di +Europa Riccardo Magi ha inscenato una protesta, presentandosi vestito da fantasma con un lenzuolo bianco. L’azione simbolica voleva denunciare il silenzio istituzionale sui referendum dell’8 e 9 giugno e l’invito della maggioranza all’astensione. Magi è stato espulso dall’Aula dal Presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Sui social Magi ha spiegato di voler sollecitare il Premier a garantire informazione e partecipazione ai cittadini, ricordando le sue passate critiche verso governi accusati di boicottare i referendum. Ha anche criticato Fontana per un’applicazione rigida del regolamento e ha annunciato che interverrà settimanalmente per chiedere quando sarà il prossimo Premier Time. Infine, ha accusato il governo di minare la democrazia attraverso la mancanza di informazione pubblica sui referendum.