Aumentare gli stipendi, eliminare il tetto alla spesa per il personale sanitario, firmare contratti di lavoro con Ministero della Salute e Regioni, riformare la responsabilità professionale e riordinare le professioni sanitarie preservando le competenze affidate in maniera esclusiva ai medici. Sono le proposte della Confederazione Cimo-Fesmed inviate alla Conferenza delle Regioni “condividendo”, si spiega nella nota, “alcune azioni strategiche previste dal documento per il rilancio del personale del Servizio Sanitario Nazionale, esprimendo seri dubbi su altre e arricchendo l’elenco con ulteriori suggerimenti”.
Risorse per le riforme
“Il documento conferma il corrente attivismo istituzionale in tema di professioni sanitarie, affiancandosi all’Indagine conoscitiva in tema di riordino delle professioni sanitarie svolta dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, che dimostra la necessità di un intervento urgente che risolva la crisi del personale sanitario”, evidenzia Guido Quici, Presidente della Federazione Cimo-Fesmed, “Ma oltre a ribadire la necessità di un coinvolgimento attivo e realmente partecipato dei rappresentanti dei professionisti sanitari per intavolare qualsivoglia piano strategico di rilancio, evidenziamo con rammarico l’assenza lampante del tema del finanziamento per dare corso alle proposte. Il rischio che le azioni strategiche elencate dalla Conferenza rimangano ancora una volta lettera morta è infatti dietro l’angolo”.
Lavoro e contratti, una svolta
Entrando nel dettaglio del documento, Cimo-Fesmed condivide la proposta di aumentare le retribuzioni del personale sanitario, ma evidenzia come tale decisione oggi spetti ad Istituzioni diverse dalle Regioni, dal Ministero dell’Economia al Ministero della Pubblica Amministrazione. “Per questo”, sottolinea la Confederazione, “il sindacato chiede da tempo di liberare la dirigenza sanitaria dai vincoli della funzione pubblica per poter discutere e firmare i contratti con il Ministero della Salute e le Regioni. Inoltre, si sottolinea la necessità di firmare i contratti di lavoro senza estremi ritardi che assorbono gli incrementi retributivi previsti ancor prima di essere erogati”.
Ridurre frammentazione
In merito al riordino delle professioni sanitarie, “si condivide”, fa ancora presente Cimo-Fesmed, “la necessità di ridurre l’attuale frammentazione delle professioni sanitarie non mediche, senza tuttavia arrivare ad una sovrapposizione di ruoli, delineando i confini tra i profili professionali e definendo in modo chiaro l’atto medico al fine di evitare quell’anarchia delle competenze che può mettere a rischio la sicurezza delle cure”.
Basta burocrazia inutile
Inoltre, per evitare un ulteriore aumento del carico di lavoro, “l’ineludibile processo di digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale”, si chiede tra le proposte, “deve scongiurare un’eccessiva burocratizzazione che toglie tempo di cura: occorre dunque automatizzare i processi amministrativi attraverso tecnologie e strumenti digitali interoperabili e integrati tra loro”.
Frenare la fuga degli italiani
Il paragrafo dedicato al reclutamento di personale sanitario dall’estero, “che è accompagnato da problemi intrinsechi legati alla conoscenza della lingua italiana e alla qualità del percorso formativo appare alla Federazione Cimo-Fesmed”, osserva la Confederazione, “eccessivamente arrendevole. Prima di pensare al personale straniero, infatti, occorrerebbe creare le condizioni per frenare la fuga di professionisti italiani all’estero e riportare in Italia coloro che hanno deciso di emigrare”.
Carenza personale
In ogni caso, in assenza di azioni concrete volte ad aumentare l’attrattività del Servizio Sanitario Nazionale, avverte la Confederazione, “ogni proposta volta a superare le carenze di organico risulta essere una toppa temporanea, che non risolve il problema: per questo la Federazione Cimo-Fedmed, esprime forti dubbi”, conclude il documento inviato alla Conferenza delle Regioni, “i sull’impiego strutturale dei medici specializzandi in pronto soccorso o il possibile impiego dei medici dipendenti del Ssn per la copertura dei territori carenti di assistenza primaria”.