Il 30 aprile si festeggia, in Vietnam, il ‘Giorno della Riunificazione’, per celebrare il 50esimo anniversario della caduta di Saigon, che segnò la fine della guerra. La conquista della città unificò il Paese sotto il regime socialista, causando una crisi di rifugiati. Oltre 100.000 rifugiati da Saigon raggiunsero gli USA attraverso Guam. Oggi la città si chiama Ho Chi Minh City e molte famiglie vietnamite-americane ricordano la fuga e l’adattamento negli Stati Uniti. Peter Nguyen, intervistato dalla figlia Porschia, ha spiegato che la sua famiglia dovette scappare perché suo padre, tenente colonnello sudvietnamita, temeva rappresaglie. Nguyen all’epoca aveva 9 anni e salì su una corazzata vietnamita e arrivò a Subic Bay, nelle Filippine, e poi a Guam, in un campo profughi. Oggi conserva una foto della nave 502 che lo salvò. Ora vive negli Stati Uniti. Dzung Pham, allora quattordicenne, racconta che la sua famiglia dovette scappare poiché suo padre lavorava per il governo americano e sua madre per un’azienda statunitense. Non tutti riuscirono a fuggire: suo zio, colonnello in pensione, rimase a Saigon mentre cercava di curare sua figlia malata. Fu poi imprigionato per 10 anni in un campo di rieducazione, dove subì torture e lavori forzati, come migliaia di altre persone legate al regime sudvietnamita o agli americani. Lehoa Wilson, incinta di otto mesi, ricorda il giorno in cui un colonnello americano ordinò alla sua famiglia di evacuare. Accettò di lasciare il Vietnam solo per salvare i figli, ma dovette separarsi dal marito. Suo figlio Michael, fuggito a 13 anni, ha vissuto quasi tutta la vita negli USA. “Il 1975 arrivò come un lampo – ha detto – Dopo la fuga, ti ritrovi a ricominciare da capo in un nuovo Paese”. Oggi, però, considera gli Stati Uniti la sua casa. “Quando torno in Vietnam, è solo una destinazione turistica – ha detto – Apprezzo ancora la gente, il cibo e la cultura, ma non mi manca viverci”.
