A dieci anni dalla più grave tragedia del Mediterraneo, il naufragio del 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia che costò la vita a circa mille migranti, tra cui decine di donne e bambini, ieri l’Italia si è fermata a riflettere e ricordare. E lo ha fatto con le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che da un lato ha richiamato alla necessità di contrastare con fermezza l’illegalità, ma dall’altro ha lanciato un messaggio chiaro: non si può chiudere gli occhi davanti alla sofferenza umana. “Il necessario contrasto all’illegalità”, ha detto il Capo dello Stato, “deve accompagnarsi al rispetto nei confronti della vita umana”.
È un equilibrio delicato quello a cui ha richiamato il Capo dello Stato: tra legalità e umanità, tra sicurezza e accoglienza, tra lotta alla criminalità e dovere morale. Un messaggio che arriva in un’Europa ancora incapace di dotarsi di una politica migratoria realmente condivisa e solidale.
Una tragedia che ha segnato la coscienza collettiva
Il ricordo di quel naufragio, che il 18 aprile 2015 vide inabissarsi un peschereccio carico di vite umane tra Libia e Italia, rimane una ferita aperta. Solo 28 le persone sopravvissute, mentre 58 furono i corpi recuperati. Per gli altri, circa un migliaio, la memoria si affida ai numeri, alle stime e all’impegno di chi, come la Croce Rossa Italiana, cerca ancora oggi di restituire loro un’identità.“Erano persone che cercavano disperatamente una vita migliore, fuggendo da guerre, persecuzioni, miseria. Finite nelle mani di organizzazioni criminali che le hanno abbandonate nel pericolo”, ha ricordato Mattarella.
Un’umanità in fuga, spesso invisibile, vulnerabile, che diventa carne da traffico per reti criminali senza scrupoli. A queste persone, ha spiegato il Presidente, la Repubblica italiana deve il ricordo, ma anche l’impegno costante a evitare che simili tragedie si ripetano.
“È la nostra civiltà”, ha detto ancora Mattarella”, a impedirci di voltare le spalle, di restare indifferenti, di smarrire quel sentimento di umanità che è radice dei nostri valori”. Un appello che si intreccia con la storia e l’identità stessa del nostro Paese, terra di migrazioni passate e presenti, e che chiama in causa anche le istituzioni europee. Per il Presidente, infatti, i flussi migratori vanno “governati”, non respinti, e l’Unione Europea deve assumersi il massimo delle proprie responsabilità in questo processo. Non bastano i proclami, servono azioni concrete, meccanismi di accoglienza strutturati, canali legali di ingresso, cooperazione internazionale, solidarietà.
La risposta del mondo civile
Alle parole del Capo dello Stato hanno fatto eco le reazioni delle realtà impegnate in prima linea nei soccorsi e nella difesa dei diritti umani. Mediterranea Saving Humans, attiva nel Mediterraneo con le sue navi Mare Jonio e Safira, ha ringraziato Mattarella per aver ricordato che la grandezza di un Paese si misura anche dal suo impegno nel salvare vite. “In tempi in cui morti in mare, omissioni di soccorso, respingimenti e lager sembrano diventati banalità del male”, ha scritto Mediterranea, “e nostre navi navigano in direzione ostinata e contraria alla morte, all’odio e all’indifferenza”.
Una denuncia forte che punta il dito contro le politiche che criminalizzano il soccorso in mare e alimentano una narrazione fondata sulla paura e sul sospetto. E che, troppo spesso, si traducono in una paralisi istituzionale o in respingimenti silenziosi.
“Una battaglia di giustizia”
Anche il Presidente della Camera Lorenzo Fontana ha voluto ricordare le vittime del 18 aprile 2015 con un messaggio improntato alla fermezza e alla compassione: “Ricordiamo con dolore le tante vite spezzate, tra cui quelle di donne e bambini. L’impegno contro chi lucra sulla disperazione è una battaglia di giustizia e di umanità”. Un richiamo all’urgenza di colpire le reti di trafficanti e scafisti, che approfittano del bisogno e della disperazione per arricchirsi, senza scrupolo per le conseguenze.
Tra i protagonisti silenziosi di questa battaglia c’è la Croce Rossa Italiana, che da anni lavora con dedizione per restituire dignità alle vittime del mare. A dieci anni dalla tragedia, il Presidente Rosario Valastro ha ribadito l’importanza di riconoscere ogni persona scomparsa, non solo come numero, ma come individuo. “Perdere la vita non significa perdere la propria identità. È un obbligo umanitario restituire un nome, una storia, un volto”.
Un impegno che si concretizza in iniziative come il RestoringFamily Links, un servizio volto al ricongiungimento familiare per chi è stato separato dai propri cari da guerre, migrazioni o disastri. E nella collaborazione con enti come l’Istituto Labanof, che contribuisce all’identificazione delle salme con metodi scientifici.