domenica, 13 Aprile, 2025
Economia

Società di capitali nel mirino: evasi oltre 822 miliardi in 25 anni

Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, il 64% del totale non riscosso dallo Stato è imputabile a Spa, Srl e consorzi. Solo il 12% riguarda gli autonomi, smentendo il mito dei ‘piccoli evasori’

L’evasione fiscale in Italia è spesso descritta come un fenomeno diffuso e capillare, che coinvolge milioni di piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e lavoratori autonomi. Ma i numeri raccontano un’altra storia. Secondo i dati presentati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione in audizione al Senato, il vero nodo dell’evasione si annida nelle società di capitali: in 25 anni, quasi 3,5 milioni di Spa, Srl, consorzi e cooperative hanno accumulato un debito col fisco pari a 822,7 miliardi di euro, ovvero il 64,3% del totale non riscosso. Dal 2000 al 31 gennaio 2025, infatti, l’ammontare complessivo delle imposte, tasse, contributi, multe, bollette e altri oneri non riscossi ha raggiunto la cifra record di 1.279,8 miliardi di euro. Una montagna di crediti non riscossi che grava sulle spalle dello Stato e, indirettamente, su tutti i cittadini contribuenti. Ma la distribuzione di questi debiti fiscali è tutt’altro che omogenea. Solo il 12,2% (156,7 miliardi) è imputabile ai lavoratori autonomi e alle microimprese, mentre le persone fisiche – lavoratori dipendenti, pensionati e altri soggetti tassati alla fonte – sono responsabili per 300,4 miliardi (23,5%).

In totale, quindi, quasi nove euro su dieci del totale non riscosso sono da attribuire a soggetti diversi dai tanto vituperati ‘piccoli evasori’. E questo dato, estrapolato dall’Ufficio Studi della Cgiadi Mestre, contribuisce a ribaltare molti luoghi comuni.

Un esercito di contribuenti morosi, ma pochi con debiti giganteschi

Delle oltre 22 milioni di posizioni debitorie affidate in riscossione in questi 25 anni, solo 3,47 milioni (cioè circa il 15,6%) fanno capo a persone giuridiche. Ma nonostante siano numericamente una minoranza, queste aziende concentrano la parte più consistente dell’insoluto: 822,7 miliardi di euro. Per confronto, i 15,93 milioni di contribuenti rappresentati da lavoratori dipendenti, pensionati e altri soggetti fisici (il 71,6% del totale) risultano responsabili per un debito fiscale tre volte inferiore rispetto a quello delle società. Una sproporzione che mette in luce la difficoltà – se non l’incapacità – dello Stato di riscuotere crediti soprattutto da soggetti strutturalmente organizzati, spesso dotati di risorse legali e finanziarie ben superiori rispetto ai piccoli contribuenti.

Per decenni, il lavoratore autonomo è stato dipinto come la figura emblematica dell’evasione fiscale. Ma i numeri sembrano smentire questo stereotipo. I titolari di partita Iva, che includono artigiani, commercianti, liberi professionisti e piccoli imprenditori, sono responsabili solo per il 12,2% dell’evaso. In termini assoluti, parliamo di 156,7 miliardi in 25 anni. Cifre certo rilevanti, ma lontane anni luce dalle voragini lasciate dalle grandi imprese.

Serve più intelligenza, non solo più repressione

Solo 13 contribuenti morosi su 100 appartengono alla categoria degli autonomi. E questo conferma ciò che la Cgia sottolinea da anni: nonostante le ombre e le sacche d’irregolarità che pure esistono, non sono loro i principali protagonisti del mancato gettito erariale. La fotografia scattata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione sottolinea anche un altro punto cruciale: il sistema della riscossione ha fallito, almeno in parte, la sua missione. Di fronte a una mole così imponente di crediti non riscossi, appare evidente la necessità di riformare in profondità il rapporto tra Stato e contribuente.

Occorre puntare su un fisco più snello, digitale e orientato alla prevenzione, in grado di sfruttare efficacemente i big data e le tecnologie per intercettare con tempestività le situazioni di rischio. I settori su cui si concentra oggi l’attenzione dell’Agenzia sono quelli dove proliferano le frodi Iva, l’uso di crediti inesistenti, la fittizia residenza fiscale all’estero e l’occultamento di patrimoni. Fenomeni che richiedono strumenti raffinati di indagine e che coinvolgono quasi esclusivamente i grandi contribuenti.

I numeri regione per regione

Analizzando la distribuzione territoriale del debito fiscale, emergono forti differenze tra le regioni. In termini pro capite, i residenti del Lazio sono in cima alla classifica con un debito medio di 39.673 euro, seguiti da quelli della Campania (27.264 euro) e della Lombardia (25.904 euro). Di contro, le regioni più virtuose risultano essere quelle a statuto speciale del Nord: in Valle d’Aosta il debito medio è di 12.533 euro, in Friuli Venezia Giulia di 11.125 euro e in Trentino Alto Adige addirittura di soli 6.964 euro. Ma se guardiamo ai valori assoluti, la Lombardia è la regione con il debito fiscale più elevato: 259,3 miliardi di euro non riscossi. Seguono il Lazio con 226,7 miliardi, la Campania con 152,5 miliardi e l’Emilia Romagna con 87,9 miliardi. In parte, questi numeri riflettono la concentrazione di grandi aziende, multinazionali e gruppi industriali in regioni ad alta densità economica.

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