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Il Controcanto. Veneto, Piemonte e Lombardia, voglio tornare a casa mia!

mercoledì, 6 Maggio 2020
2 minuti di lettura

Me lo ricordo molto bene quell’anno. Era il 1978. Mia sorella Esterina, dopo aver superato l’esame per l’abilitazione all’insegnamento come maestra elementare, fu assegnata in una sperduta località del Nord.

Il suo primo incarico fu a Campodalbero, una frazioncina di Crespadoro, 35 abitanti, in provincia di Vicenza. Praticamente, da Ferrandina, un grazioso e tranquillo paese della Basilicata, fu catapultata, come direbbero qui a Roma, in culo al mondo. Mia sorella piangeva, non voleva andare in quel posto lontano e sperduto. 

Decisi, allora, di accompagnarla e di farle compagnia almeno per la prima notte. Che viaggio che facemmo!

Dalla ricca e opulenta Vicenza, sembrava che dovessimo raggiungere il Tibet, tanto era isolata e sperduta quella contrada di contadini. Io e mia sorella capitammo proprio in quel profondo Nord, dove i terroni venivano considerati dei poveracci, che, pur di sfuggire alla fame, avrebbero raggiunto anche gli anfratti più sperduti d’Italia. Dal Sud, tantissime ragazze come lei, vincitrici di concorso, si sparpagliarono verso Nord, come uno sciame di api, pur di entrare nei ruoli della scuola statale, nelle terra promessa del Lombardo-Veneto. Finchè un giorno, centinaia e centinaia di sue colleghe, tutte rigorosamente borboniche, si ritrovarono sotto il Provveditorato agli Studi di Milano. Si fecero coraggio e incominciarono a protestare.

Il motivo? Dopo diversi anni di servizio nelle valli e sui monti dell’Alta Italia stavano per scoppiare. Non reggevano più. Non potevano sostenere né economicamente, né psicologicamente quel lungo esilio, lontano dalle loro famiglie, dai loro figli, da loro piccolo mondo che mai, nelle loro teste, prima che nei loro cuori, avrebbero voluto abbandonare. Quella delle maestre meridionali, però, non fu una lotta dura. Tutt’altro!

Fu una protesta morbida, soft diremmo oggi, quasi gentile. Tanto che, nella sua immensa generosità, il Parlamento dell’Arco Costituzionale, con il tacito via libera dell’opposizione, approvò una “leggina” che, in quattro e quattr’otto, sistemò tutto, con la formula giuridico-sentimentale del ricongiungimento familiare.

Delle figlie con le mamme, delle giovani mamme con i figli, dei nipoti con i nonni e delle nipoti con le zie.

Et voilà, les jeux sont faits. Almeno così sembrava. E invece, alla fine degli anni Novanta, la giostra del Sud incominciò di nuovo a girare verso Nord. I giovani meridionali, soprattutto diplomati e laureati, in astinenza da posto fisso, cassa integrazione e ammortizzatori vari, ripresero, in cerca di fortuna, treni, intercity e frecciarossa, non più con la valigia di cartone, ma con il Trolley, lo Smartphone e la PostePay. Ricordo bene i dati, le statistiche, i diagrammi che ogni anno  sfornava  il Rapporto Svimez. Era tutto un grido d’allarme:  il Sud si sta spopolando, i paesi delle aree interne si stanno svuotando. Solo con donne, vecchi e bambini il Mezzogiorno non andrà tanto lontano. Il povero Ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano non aveva nemmeno  fatto in tempo a presentare a Lamezia Terme il suo rivoluzionario Piano per il Sud, che è arrivato lui, il Comandante Supremo, Il Generalissimo Corona, intenzionato a scatenare la terza guerra mondiale, senza sparare nemmeno una cartuccia.

In un solo colpo, ha azzerato tutto. Ci sono voluti solo due mesi per passare dalla Pandemia al Pandemonio.

Chi l’avrebbe mai detto: dopo secoli di storia, l’Italia si è capovolta. Basta con gli untori, viva i terroni! E così è cominciato il controesodo, dal Nord al Sud. Treni, pullman e aerei presi d’assalto per far ritorno, finalmente, da mamma e papà. Sono scappati di notte. Forse perché hanno capito che la frenesia, l’inquinamento e il consumismo oltre ogni limite sono i piatti prelibati di questo cattivissimo generale. Mentre al Sud,  quest’estate, sarà tutta un’altra storia. Il mare e il sole, le capre e le pecore, le galline e i maialini lo stanno aspettando, il Corona. Per distrarlo e accarezzarlo, per adularlo e ammansirlo. E  poi, se tutto va bene, con una solenne estrema unzione, per benedirlo.  

Michele Rutigliano

Giornalista, è nato a Ferrandina (Matera) nel 1953. Vive e lavora a Roma. Dopo la laurea in Legge si è specializzato in Scienza delle Comunicazioni Sociali alla Pontificia Università Gregoriana. Ha lavorato alla Camera dei Deputati, presso la Commissione Bicamerale per il Mezzogiorno, all'Ufficio Stampa e alle Commissioni Parlamentari. Nella X Legislatura è stato Segretario particolare del Vicepresidente della Camera On. Michele Zolla. Successivamente, in posizione di distacco, al Quirinale, presso la Segreteria particolare del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Attualmente collabora con riviste e quotidiani su progetti legati allo sviluppo del Mezzogiorno.

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