La Corte penale internazionale ha smentito l’apertura di un’indagine contro il governo italiano in relazione al caso del generale libico Almasri. L’ipotesi, diffusa ieri dal quotidiano Avvenire, parlava di una denuncia che sarebbe stata presentata da un rifugiato sudanese contro membri del governo italiano (tra cui Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi), accusati di “ostacolo all’amministrazione della giustizia” ai sensi dello Statuto di Roma. Anche fonti governative italiane hanno confermato che non esiste alcun fascicolo aperto presso la Cpi e che la denuncia, una comunicazione inviata via mail dal rifugiato sudanese, è stata semplicemente acquisita dall’Ufficio del Procuratore, come avviene per molte altre segnalazioni. La Corte penale valuta tali comunicazioni e avvia procedimenti solo se ritenuti fondati, processo che richiede mesi e rimane riservato.
Secondo Avvenire, il rifugiato ha presentato una denuncia di 23 pagine, sostenendo di essere stato vittima, insieme alla moglie e ad altri migranti, di crimini perpetrati dal generale Almasri. L’accusa si estenderebbe anche a funzionari italiani e dell’Ue per presunte complicità in crimini contro i diritti umani in Libia. Mal’accusa contiene alcune imprecisioni, come la durata del soggiorno di Almasri in Italia, effettivamente limitato a quattro giorni prima del suo rilascio e ritorno in Libia.
“Tutti indagano tutti”
Di certo quanto scatenatosi in mattinata non ha fatto piacere per niente piacere al Ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha commentato la vicenda durante un’intervista a Rai Radio1 (prima della smentita della Cpi): “Credo che ormai a questo mondo tutti indagano un po’ su tutto. Dispiace che Almasri sia libero, ma le regole vanno rispettate. Delegittimare i tribunali internazionali significa mettere in discussione l’intero sistema di giustizia”. Una posizione condivisa dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, che da Ashdod ha dichiarato: “Forse è la CPI a dover essere indagata. Sostengo pienamente l’operato del Ministro Nordio”. La denuncia, secondo Avvenire, sarebbe conseguenziale al rilascio di Almasri, reso possibile da un vizio procedurale che ha scatenato un’ondata di critiche. Ma Nordio ha ribadito che il rispetto delle norme giuridiche è imprescindibile: “L’idea che un torturatore debba essere punito a prescindere dalle regole significa delegittimare l’esistenza stessa dei tribunali internazionali”.
Spionaggio via WhatsApp
Parallelamente, l’Italia si trova coinvolta in un nuovo scandalo di cybersicurezza. La società israeliana Paragon Solution, produttrice di uno spyware avanzato, ha interrotto il contratto con il governo del Paese, accusandolo di aver violato gli accordi per utilizzare il software in modo improprio. Secondo quanto riportato da Haaretz e confermato da WhatsApp, sette utenze italiane – tra cui giornalisti e attivisti – sono state hackerate. Tra le vittime figurano Francesco Cancellato, Direttore di Fanpage, e Luca Casarini, Fondatore della Ong Mediterranea Saving Humans. Ma il governo italiano ha negato ogni coinvolgimento diretto dell’intelligence in queste operazioni, ma le opposizioni chiedono risposte chiare: “Emerge un fatto gravissimo: spiare giornalisti è inaccettabile in un sistema democratico. Il governo deve spiegare come e perché è stato interrotto il contratto con Paragon”, ha dichiarato Giuseppe Conte, leader del M5S, durante un’intervista a L’Aria che Tira su La7. Anche la Federazione nazionale stampa italiana ha chiesto spiegazioni urgenti, definendo la vicenda “intollerabile in una democrazia”.