Ieri, in occasione della 59esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il Papa ha lanciato un messaggio chiaro alla stampa e… dintorni: liberare la comunicazione dall’odio, dalle fake news e dalla disumanizzazione, per promuovere, in primis, la speranza e la solidarietà. Non è la prima volta che il Santo Padre torna su questo argomento. E dunque, in un mondo sempre più dominato da flussi incessanti di dati e informazioni, Francesco ha invitato giornalisti e comunicatori a recuperare un senso di responsabilità collettiva. Il suo messaggio, ispirato alla Prima Lettera di Pietro (“Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori”) ha tracciato un percorso alternativo per la comunicazione contemporanea, troppo spesso segnata da aggressività, manipolazione e superficialità.
Bergoglio ha esortato a “disarmare la comunicazione”, un’espressione forte che richiama l’urgenza di abbandonare la retorica bellicosa e le dinamiche divisive che pervadono il discorso pubblico. La comunicazione, ha detto il Pontefice, deve tornare a essere uno strumento di incontro e comprensione, capace di costruire ponti anziché muri.
L’illusione della competizione
Uno dei punti centrali del messaggio ha riguardato l’“atomizzazione degli interessi” e la creazione artificiale di conflitti alimentati dagli algoritmi delle piattaforme digitali. Questi strumenti, progettati per massimizzare il coinvolgimento e il profitto, spesso riducono la realtà a un campo di battaglia virtuale, dove l’altro diventa un nemico da abbattere. Secondo il Vescovo di Roma, questo processo mina le fondamenta della comunità, impedendo il dialogo e la costruzione del bene comune. “Quando si oscura il volto e la dignità dell’altro, viene meno anche la possibilità di generare speranza”, ha sottolineato il Pontefice, citando don Tonino Bello e il suo insegnamento sul valore dei volti e delle relazioni. La sfida, quindi, è resistere alla tentazione di semplificare la complessità della realtà, rifiutando slogan vuoti e narrazioni che alimentano paura e rancore.
La speranza, nelle parole di Francesco, non è un ottimismo ingenuo, ma una virtù “performativa” che richiede impegno e coraggio. Essere portatori di speranza significa accettare il rischio di andare controcorrente, raccontando storie che illuminano il buio, scovando “le scintille di bene” anche nelle situazioni più difficili. In questo senso, il ruolo del comunicatore diventa cruciale. Francesco lo ha definito come un “pellegrino di speranza”, capace di riconoscere e far emergere il bene nascosto nelle pieghe della cronaca. Un approccio che per Bergoglio richiede un cambiamento di paradigma: meno protagonismo e autoreferenzialità, più attenzione alla realtà degli altri, più spazio per la riflessione e l’empatia.
Una comunicazione che cura
Il Papa immagina una comunicazione diversa, ispirata alla mitezza e alla prossimità di Gesù di Nazaret. Non una comunicazione che provoca rabbia o chiusura, ma che parla al cuore delle persone, promuovendo apertura e amicizia: “Essere compagni di strada” diventa così la nuova missione dei giornalisti, chiamati a raccontare storie di solidarietà e speranza che possano unire, piuttosto che dividere. Un esempio concreto di questo approccio è l’invito a dare voce agli ultimi e agli emarginati, rendendo il mondo “meno sordo al loro grido e meno indifferente alle loro sofferenze”. La narrazione di storie di riscatto e resilienza, come quella di migranti, poveri o vittime di conflitti, diventa un atto di giustizia e di servizio alla verità.
Il messaggio del Papa si è inserito anche nel contesto del Giubileo, che Francesco ha descritto come un tempo di grazia e rinascita per tutti: con il suo richiamo alla misericordia e alla speranza, rappresenta un’opportunità per ripensare la comunicazione in chiave comunitaria. La speranza, infatti, è un progetto collettivo: si costruisce insieme, attraversando la Porta Santa della solidarietà e del dialogo.
Il Papa ha ricordato che i comunicatori hanno il compito di essere “cercatori d’oro”, capaci di setacciare la sabbia della cronaca per trovare pepite di bene da condividere. Un lavoro, apparentemente umile, che è in realtà il fondamento di una società più giusta e unita.
Ritrovare il cuore
Alla base di questa visione c’è l’appello a prendersi cura del proprio cuore, della propria vita interiore. “Non permettete che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione”, ha avvertito il Papa, invitando a coltivare una cultura della cura che sani le ferite dell’umanità. Il compito del comunicatore, in questa prospettiva, diventa quasi sacerdotale: testimoniare e promuovere una comunicazione non ostile, che costruisca ponti e ispiri speranza. Come Martin Luther King, Francesco sogna un mondo in cui ogni parola possa rallegrare, guarire e illuminare.
Alla fine, il messaggio di Papa Francesco è stato un invito a tutti, non solo ai giornalisti, a costruire una comunicazione che guardi al futuro con speranza e responsabilità. Raccontare storie intrise di speranza significa riscoprire il nostro destino comune e contribuire a scrivere, insieme, una storia migliore.