giovedì, 23 Gennaio, 2025
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Tutto chiede salvezza: Il disagio esistenziale che si vuol ignorare

Dopo due stagioni Netflix decide di chiudere la popolare serie tv, ma resta il merito di aver squarciato il velo su un tema che troppo affligge i nostri tempi senza che se ne parli

A chi fosse sfuggito, su Netflix da settembre è visibile il sequel della coraggiosa serie tv “Tutto chiede salvezza” tratta dal libro dello scrittore Daniele Mencarelli, per la regia di Francesco Bruni. Il merito principale della serie è l’aver aperto una finestra sul complesso mondo della psiche umana, sulle sue fobie, ansie e soprattutto su quello strisciante mal di vivere che tanto caratterizza questo secolo e la generazione dei nativi digitali, soprattutto dopo il Covid. Non si parla di un nostalgico atteggiamento di bodleriana memoria, quanto della difficoltà ad affrontare una vita minacciata da guerre, epidemie, crisi climatiche e incertezze lavorative, tanto da generare sindromi come la Hikikomori dei ragazzi che si confinano entro le quattro mura della propria stanza. Nonostante che la critica abbia trovato la seconda serie ancora più bella della prima, non tanto dal punto artistico, quanto da quello morale, Netflix decide di chiudere definitivamente la serie. E viene da domarsi perché.

Nelle due stagioni, sette puntate la prima, cinque la seconda, in un crescendo di intensità e forza narrativa, si raccontano le vicende di Daniele, interpretato da un bravissimo Federico Cesari. Il giovane ragazzo romano, dopo una crisi psicotica, si ritrova ricoverato contro la sua volontà nel reparto psichiatrico di un ospedale militare di lungodegenza dove è costretto a trascorrere una settimana insieme ai suoi compagni di stanza, inquietanti e sconclusionati, travolti dalla vita esattamente come lui. Tra queste maschere sociali che mal si prestano alla gioia di vivere, Daniele diviene la vittima sacrificale del gruppo, catalizzatore di tutti i malesseri dei co-protagonisti, convinti che la felicità sia per pochi e non per tutti.

Daniele vive ciclicamente la sensazione di essere estraneo a se stesso in un cortocircuito mentale in cui tutto sembra sempre essere sbagliato, nel tentativo disperato di sopravvivere alle proprie fragilità. Nascondere e nascondersi resta l’unica scelta possibile per non soccombere sotto le aspettative degli altri. Per essere salvato, in un quotidiano che stritola il lato umano dell’esistenza ridotta a pura vanità, Daniele ha bisogno di riconoscere la propria malattia. Nel suo andargli incontro, pone l’accento sull’importanza della cura e su quanto la salute mentale sia una conditio sine qua non per ciascun individuo. In questo percorso faticoso impara a fidarsi e ad affidarsi, non solo ai medici, a chiedere aiuto, aprendosi all’ascolto e alla condivisione di un dolore reale, che non può essere nascosto nell’omertà del silenzio e del tutto va bene. Trova conforto nella poesia, nell’immaginazione, nell’amore per Nina (interpretata da Fotinì Peluso) e negli amici conosciuti nell’ospedale.

Ogni attore suscita forza, coraggio, empatia nello spettatore e l’intensità del tema è sorretta da dialoghi ben costruiti, mai banali. “Tutto chiede salvezza” è, dunque, una profonda riflessione sul coraggio necessario nel chiedere aiuto, superando le paura dello stigma legato alla malattia mentale, da sempre vissuta come un tabù culturale. Daniele, come gli altri protagonisti della serie, dimostrano che la cura e il sostegno sono l’arma migliore contro il nihilismo contemporaneo.

Netflix chiude la serie, ma a noi piace pensare che, finalmente, un tema così scomodo e complesso sia entrato dalla porta principale nelle case delle persone senza ipocrisie e pregiudizi. Forse non è più tempo di fingere che tutto vada bene e della ricerca esasperata della perfezione a tutti i costi. Daniele incarna perfettamente le conseguenze in cui, viceversa, si rischia di incorrere.

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