Gli ultimi dati dell’Istat sulla “recessione demografica” sono molto preoccupanti.
L’Italia è un Paese che invecchia e non solo perché si vive più a lungo (cosa positiva) ma soprattutto perché si mettono al mondo sempre meno bambini. Tutto questo ha conseguenze sociali ed economiche rilevanti.
Se la popolazione in età lavorativa continuerà a diminuire per effetto della decrescita demografica e della fuoriuscita dall’Italia di molti giovani che vanno a lavorare all’estero, avremo una contrazione della ricchezza prodotta (il PIL) e questo comporterà un grave impoverimento del Paese con conseguenze negative anche sulle risorse necessarie per la previdenza e per l’assistenza ad una popolazione anziana sempre più numerosa .
Il problema della demografia pare ignorato dalla politica come se si trattasse di un dettaglio. E invece bisogna avere il coraggio di fare i conti con questi numeri e chiedersi come gestire il fenomeno che andava affrontato 30 anni fa.
Fissare degli obiettivi di politica demografica è spesso considerato un pericoloso ritorno alla frase mussoliniana “Il numero è la forza dei popoli”. E così scatta il meccanismo automatico della rimozione del problema. Qui non si tratta di dare braccia alla rinascita dell’Impero..si tratta di salvare le condizioni sociali ed economiche di un Paese che ha costruito livelli di benessere cui non vuole e non deve rinunciare.
Occorre una politica coordinata per la famiglia che parta soprattutto dalle misure per aiutare le coppie giovani, a non aver paura di “fare figli”.
Se mettere al mondo un figlio significa dover lasciare il lavoro o sacrificare una adeguata progressione di carriera quanto donne saranno tentate di rinunciarci?
Se un figlio in più diventa un costo economico insostenibile per redditi familiari ristretti, quante famiglie saranno costrette ad arrendersi a questo stato di necessità?
Fare paragoni col passato quando famiglie anche meno abbienti riuscivano a tirar su 4/5 figli non ha senso. La vita sociale è notevolmente cambiata. Ogni famiglia oggi deve fare da sola e non può contare sul contesto di “mutua assistenza” che un tempo supportava, soprattutto nei piccoli comuni, ogni nucleo familiare.
Cosa fare?
La regola generale è che bisogna evitare di erogare somme in denaro o in bonus ma occorre puntare su incentivi fiscali e su servizi
Bisogna innanzitutto aiutare le giovani coppie a trovare casa incentivando il social housing e garantendo alle famiglie con almeno tre figli la deducibilità parziale dal reddito delle spese affrontate per affittare case adeguate al numero maggiore di figli.
Serve poi una politica di servizi sia pubblica che privata.
Nelle medie e grandi aziende dovrebbero essere obbligatori spazi attrezzati di nursery per le dipendenti che così potrebbero portare con loro i bimbi, da 0 a 3 anni, e lavorare in serenità e “prossimità” con i loro piccoli. Le aziende a loro volta dovrebbero poter dedurre parte dei costi affrontati per l’allestimento di questi servizi.
Per i bambini oltre i 3 anni bisognerebbe mettere a disposizione asili pubblici e privati in convenzione con prezzi calmierati e proporzionati al numero di figli.
L’introduzione del quoziente familiare renderebbe più conveniente avere più figli, sulla base del principio ”più figli, meno tasse”. Un esempio che viene dalla Francia: una coppia con 2 figli e 25 mila euro complessivo non paga tasse; con 3 figli e 50 mila euro paga solo 3000 euro; con 3 figli e 100.000 euro di reddito solo 10 mila euro di tasse. Secondo uno studio della CGIA di Mestre , applicando all’Italia il sistema francese, una famiglia con 35 mila euro e 2 figli pagherebbe circa 6 mila euro di tasse in meno se monoreddito e 1900 se bireddito; con 60 mila euro di reddito una monoreddito risparmierebbe 14.500 euro e una bireddito 8700 euro.
Una politica per la famiglia e l’aumento del numero dei figli ha un costo non indifferente. Ma non fare questa politica , nel lungo termine, ha costo ancora maggiore.