Appare quanto mai opportuno ed anche significativo, mentre è nell’agenda politica e parlamentare la riforma costituzionale sul premierato e sulla autonomia differenziata, l’uscita in una nuova edizione del “Saggio sul principio generatore delle Costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane” di Jospeh de Maistre (1753-1821) (Quodlibet, Macerata 2024, pp. 144, euro 16,00). La sua lettura infatti da parte di parlamentari/legislatori e di costituzionalisti potrebbe essere molto utile almeno per quanto riguarda una visione d’insieme di tutte le problematiche inerenti alle riforme costituzionali. Non sarebbe male se qualcuno di buona volontà riflettesse su quanto scrisse il pensatore savoiardo oltre due secoli fa. Il Saggio appunto vide la luce nel 1816 ed è l’opera nella quale particolareggiatamente viene enunciato il pensiero politico e sociale di de Maistre. In esso sono precisati tutti i temi che saranno fatti propri dalle correnti tradizionaliste d’Europa: ripudio delle teorie contrattualistiche, considerando la realtà della persona umana e della società nel loro sviluppo storico; la visione di uno Stato organico che contemperasse l’esigenza della libertà e dell’autorità; il rigetto sia dell’assolutismo monarchico che del dispotismo democratico; il ritorno alle grandi autonomie locali e dei corpi intermedi; l’inscindibilità tra società e sovranità; l’identità tra ordine sociale e ordine universale; la presenza della mano divina nelle costituzioni politiche e nelle leggi; l’individualità delle singole nazioni aventi ciascuna una missione da compiere e delle tradizioni da tutelare.
De Maistre vuole ritrovare in Dio l’origine della legge. Se Dio è uno, unica deve essere la legge, anche se adattata ad ogni popolo. Ma egli ha di fronte una nuova realtà, quella delle nazioni, vivendo proprio nell’epoca in cui nasce il moderno concetto di nazione; deve, perciò, cercare di contemperare il pluralismo nazionale con la concezione tradizionale cattolica della trascendenza di una legge unica. Se si accetta il pluralismo nazionale e se ogni nazione ha le sue leggi, l’origine di queste deve trovarsi necessariamente nella nazione stessa e la legge deve essere immanente. Rousseau aveva affermato proprio questo: che la legge è nella comunità, la quale non riconosce nulla al di sopra di sé, nemmeno Dio.
Proprio ciò che in de Maistre potrebbe apparire in un primo momento una contraddizione, la legge una in cielo si fa molteplice sulla terra, viene cosi composta e risolta. La legge prima di avere un valore giuridico ha un valore morale in quanto è scolpita nei cuori e nelle menti degli uomini dalla mano divina sotto forma di imperativo etico. In altre parole: la legge divina che è alla base della legge umana è solo una giustificazione della obbligatorietà di quest’ultima se si vuole che essa sia moralmente obbligante e non un mero atto di coercizione. Ogni nazione, poi, ha le proprie leggi perché ha un proprio “genio”, che è il complesso di caratteristiche, di elementi prerazionali, di “misteri”, di credenze tradizionalmente accettate. E questo “genio” è pur esso opera divina. Quindi cade l’assunto di Rousseau perché la legge si adatta sì ad ogni nazione, ma poiché lo stesso “genio” di esse è opera divina anche la legge che vi si adatta sarà opera divina e quindi perderà il suo carattere di immanenza acquistando, viceversa, quello della trascendenza.
La polemica nei confronti dell’Illuminismo si fa violenta proprio quando il conte tratta del carattere della legge. “Locke ha cercato il carattere della legge nell’espressione delle volontà riunite (…). Le volontà riunite formano il regolamento e non la legge, la quale suppone necessariamente e manifestamente una volontà superiore che si fa ubbidire. Nel sistema di Hobbes la forza delle leggi civili non viene che da una convenzione”; ma (continua de Maistre) “le promesse, gli impegni, i giuramenti non son che parole: è tanto facile rompere questo frivolo legame, quanto formarlo. Senza il dogma di un Dio legislatore, ogni obbligazione morale è chimera (…). La legge non è propriamente legge e non possiede una verace sanzione se non supponendola emanata da una volontà superiore”.
L’originalità e la novità del pensiero di Joseph de Maistre sono soprattutto evidenti nella trattazione che egli dedica al problema delle costituzioni politiche ed al fondamento degli Stati: “Uno dei più importanti errori di un secolo che li ha professati tutti, è stato il credere che una costituzione politica potesse essere scritta e creata a priori; mentre ragione ed esperienza concorrono a stabilire che una costituzione è opera divina e ciò che vi è di più fondamentale ed essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non può essere scritto”.
Una costituzione, dunque, è opera divina e non è possibile scriverla ed inventarla perché ogni nazione ha la sua, che nasce dalle sue caratteristiche, dalle sue tradizioni che sono, poi, la reale costituzione della nazione. Ciò è vero perché tutte le volte che un popolo ha cercato di darsi una costituzione senza tener conto della propria realtà, il risultato è stato fallimentare, perché nel migliore dei casi è rimasta inapplicata quando non ha agito in modo deleterio sulla vita del suo popolo.
Le costituzioni politiche sono perciò prodotto (o meglio dovrebbero essere, perché oggi in realtà ciò non avviene) di una evoluzione che va di pari passo al crescere dell’uomo, come se si trattasse dello stesso adattamento di questo all’ambiente in cui vive. In ciò sta proprio la vera libertà e la vera realizzazione dell’uomo: Dio fa conoscere alla sua creatura le sue leggi come se fossero un fatto naturale ed infatti tutte le libere costituzioni sono nate per una serie di circostanze e per un concorso di cause fortuite, giammai da una deliberazione.
“Consideriamo ora una costituzione politica qualunque, per esempio quella dell’Inghilterra”. Essa “è opera delle circostanze. Le leggi romane, le leggi ecclesiastiche, le leggi feudali, le costumanze sassoni, normanne e danesi (…) le guerre, le sommosse, le rivoluzioni, tutti questi elementi infine hanno prodotto dopo molti secoli, l’unità, la più complicata ed il più bello equilibrio delle forze politiche che siasi mai veduto al mondo. Ne segue che questi elementi erano guidati da una mano infallibile, superiore all’uomo”.
Una costituzione, poi, deve adattarsi ad una sola nazione; non vi sono costituzioni valide per tutti i popoli, ma per ognuno bisogna trovare le leggi che gli vengono in riferimento ai costumi, alla religione, alle ricchezze, alla posizione geografica, alle qualità, ai difetti, alle tradizioni, eccetera.
E proprio su questo argomento noi troviamo delle inaspettate convergenze di opinioni messe in risalto da Croce nel suo Uomini e cose della vecchia Italia; convergenza tra storicisti e tradizionalisti: “Non meno degno di nota è che uno dei primi che in Napoli si dimostrassero ‘vichiani’ nei concetti politici, Vincenzo Cuoco, meditasse il libro del de Maistre (che fu assai divulgato nei paesi legittimistici e in guerra con la Francia) e ne traesse giovamento per suo pensiero, e segnatamente per la sua polemica a favore delle costituzioni naturali contro quelle artificiali ed astratte, che è precipuo argomento delle sue ‘lettere a Vincenzo Russo’ e anima il saggio storico. Ma quando io leggo Cuoco: ‘Tu sai che questa è l’idea che io ho della costituzione francese del 1795. Questa costituzione è buona per tutti gli uomini? Ebbene, vuol dire che non è buona per nessuno’. E poi leggo nel de Maistre: ‘La costitution de 1795, tout comme ses aimées, est faite pour l’homme – or il n’ya poit d’homme dans le mond (…) une costitution qui est faite pour toutes ler nationes n’est faite pour aucun; c’est une pure abstraction’. Mi pare da non porsi in dubbio che il Cuoco avesse letto de Maistre”, conclude Croce.
Come si vede per il Nostro, anche per quanto riguarda le costituzioni, la volontà divina è solo l’origine lontana del fenomeno; poi, tutte le sue considerazioni scaturiscono della realtà delle nazioni con la loro individualità, l’esigenza del mantenimento dell’ordine sociale, la realtà degli uomini e delle cose.
In conclusione noi possiamo dire che per de Maistre:
- la legge umana promana dalla legge divina;
- la costituzione politica non può nascere dalla attività creativa di alcuni uomini, ma germoglia spontaneamente;
- ogni nazione deve avere una propria costituzione;
- la costituzione politica deve essere non scritta o tutt’al più deve contenere il minor numero possibile di principi enunciati;
- ogni costituzione deve essere permeata di religiosità.