Nel 2022, secondo i dati dell’Istat usciti ieri, il giro d’affari delle multinazionali, è cresciuto notevolmente, sia per quelle straniere presenti in Italia che per quelle italiane all’estero. Le multinazionali straniere in Italia hanno registrato un incremento delle esportazioni (cioè vendite di prodotti verso l’estero) del 22,9% e delle importazioni (prodotti comprati dall’estero) del 23,4%. Anche le aziende italiane all’estero hanno rafforzato la loro presenza, destinando quasi la metà del loro fatturato a mercati internazionali.
In Italia, le multinazionali estere hanno un peso notevole, pur rappresentando solo una piccola parte del numero totale di aziende. Infatti, sebbene queste controllate estere rappresentino appena lo 0,4% delle imprese residenti, generano il 21% del fatturato totale (ossia il valore complessivo delle vendite) e il 17,4% del valore aggiunto. Quest’ultimo termine si riferisce al valore creato dall’azienda rispetto ai beni e servizi che utilizza per produrre i suoi prodotti; in altre parole, è il “valore in più” che un’azienda aggiunge attraverso il suo lavoro e le sue risorse.
Nel 2022, le multinazionali straniere in Italia hanno contato 18.434 aziende, con un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Queste aziende hanno impiegato oltre 1,7 milioni di persone e hanno prodotto un fatturato di più di 908 miliardi di euro (+26,9%) con un valore aggiunto superiore a 173 miliardi (+13,4%). Gran parte di queste aziende opera nel settore dei servizi, che include attività come il commercio, il turismo, e la consulenza, anche se le imprese industriali a controllo estero generano circa metà del fatturato complessivo. Tra i settori industriali, spiccano l’automobile, i prodotti farmaceutici e quelli chimici.
Anche le multinazionali italiane che operano all’estero sono in forte crescita. Sono presenti in 175 Paesi, con 25.491 aziende controllate (+2,4% rispetto al 2021) e danno lavoro a oltre 1,7 milioni di persone. Il fatturato delle multinazionali italiane all’estero ha raggiunto i 552 miliardi di euro (+15,8%), soprattutto grazie ai settori industriali, come la produzione di automobili e metalli. Nei servizi, che includono turismo, trasporti e logistica, si registrano aumenti importanti, in particolare nei settori del noleggio e dei trasporti.
Le multinazionali estere presenti in Italia giocano un ruolo chiave anche nel commercio internazionale, rappresentando il 35,1% delle esportazioni italiane e il 49,5% delle importazioni. Tra i settori più attivi, figurano ancora una volta i farmaceutici, l’automotive e la produzione di elettronica. Gran parte degli scambi avviene tra società appartenenti allo stesso gruppo multinazionale, un fenomeno chiamato “intra-gruppo”, che include scambi commerciali tra varie sedi della stessa azienda in diversi Paesi. Le multinazionali italiane all’estero destineranno nel 2022 quasi metà del proprio fatturato a Paesi diversi da quello in cui hanno sede. In particolare, i settori legati al “Made in Italy” mantengono un’importante quota di vendite verso l’Italia, soprattutto nella produzione di articoli in pelle, abbigliamento e mobili. Altri settori, come l’industria del legno e la produzione di minerali non metallici, vendono principalmente nel Paese in cui operano.
Per quanto riguarda le aree di provenienza delle multinazionali estere in Italia, oltre metà arriva dall’Unione Europea (56,3%), seguita da Nord America e altri Paesi europei. Gli Stati Uniti contano il maggior numero di aziende a controllo estero in Italia (2.603), con un fatturato che rappresenta quasi il 18% del totale. A livello di settori, gli Stati Uniti sono il primo investitore nel manifatturiero, seguiti da Francia e Germania, mentre nel commercio e nei servizi prevalgono aziende francesi, tedesche e britanniche.
Per le multinazionali italiane all’estero, l’Unione Europea resta la principale destinazione, anche se si è registrato un lieve calo rispetto al 2021. In alcuni casi, l’espansione internazionale risponde a motivazioni diverse: le grandi imprese investono all’estero soprattutto per accedere a nuovi mercati e migliorare la qualità dei prodotti, mentre solo una piccola percentuale è motivata a investire per ridurre i costi del lavoro.