Analisi approfondita all’interno del partito per cercare di ricostruire un’organizzazione frammentata, dopo la sconfitta della vicepresidente Kamala Harris contro l’ex presidente Donald Trump. Ascoltando i membri dello staff della campagna è emerso un partito lontano dalla sua identità di difensore dei più deboli, diventato rappresentante delle élite e oggi diviso tra rabbia, dolore e accuse reciproche. Critiche sono emerse sulla scelta della campagna di rivolgersi ai repubblicani moderati, trascurando i problemi con gli elettori di base. L’amministrazione Biden aveva consentito ai migranti di affluire in stati democratici, spesso ospitati e sostenuti, mentre i residenti della classe operaia lottavano per accedere ai servizi. Il senatore indipendente del Vermont, Bernie Sanders, ha criticato “i grandi interessi finanziari e i consulenti ben pagati che controllano il Partito Democratico”. “Non è sorprendente che un partito che ha abbandonato la classe operaia sia stato abbandonato dalla stessa – ha detto – Prima è stata la classe operaia bianca, ora anche i lavoratori latinoamericani e neri. Mentre la leadership democratica difende lo status quo, gli americani sono arrabbiati e chiedono cambiamento. E hanno ragione.” Molti Democratici hanno attribuito la colpa a Biden per non essersi ritirato prima, altri hanno criticato l’influenza sproporzionata dei consiglieri dell’era Obama, definiti “bloccati nel 2009”. Un alleato di Harris ha sottolineato l’errore di martirizzare Trump attraverso le indagini e i procedimenti legali. “È tempo che la vecchia guardia si faccia da parte. Serve una nuova strategia – ha detto un Democratico coinvolto nella campagna di rielezione – I geni dell’era Obama sono superati. Sono fuori contatto con gli americani. Il Partito Democratico è fuori fase”. Governatori come Josh Shapiro, Gretchen Whitmer e JB Pritzker sono visti come potenziali leader emergenti.