A due anni dall’introduzione del Super Ecobonus 110%, l’effetto negativo sui conti pubblici sembra essersi ridotto, a causa delle recenti misure restrittive imposte per legge. Ma i costi complessivi per lo Stato rimangono enormi, secondo uno studio della Cgia di Mestre: fino al 31 agosto 2023, gli oneri legati all’agevolazione sfiorano i 123 miliardi di euro. Nonostante questa cifra impressionante, solo il 4,1% degli edifici residenziali italiani ha beneficiato dell’incentivo, pari a meno di 500.000 abitazioni su un totale di circa 12,2 milioni. Questo dato solleva diverse critiche, soprattutto considerando che con la prossima legge di bilancio saranno richiesti sacrifici a tutti i cittadini. Spendere oltre sei punti percentuali del Pil per efficientare una parte così limitata del patrimonio immobiliare ha suscitato indignazione tra coloro che ritengono la misura inefficace e iniqua. Il Super Ecobonus 110% aveva l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica degli edifici e ridurre le emissioni di inquinanti. Tuttavia, i risultati in termini di riduzione della CO2 sembrano modesti. Secondo un’analisi della Banca d’Italia, i benefici ambientali potrebbero compensare i costi finanziari solo nell’arco di 40 anni. Inoltre, alcuni esperti internazionali sostengono che l’effetto sarebbe stato maggiore se si fosse puntato sull’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento e di cottura, anziché continuare a incentivare l’uso di gas-metano.
Distribuzione dei benefici
Un altro aspetto critico riguarda la distribuzione dei benefici. Il Superbonus sembra aver avvantaggiato principalmente i proprietari di immobili con un’elevata capacità di reddito, lasciando ai margini le famiglie meno abbienti, che spesso vivono in edifici con un basso livello di efficienza energetica. L’assenza di una priorità per queste fasce della popolazione ha generato polemiche, poiché si è persa l’opportunità di coniugare la transizione ecologica con una maggiore equità sociale. Secondo l’Ufficio studi della Cgia, la cifra spesa dallo Stato per il Super Ecobonus avrebbe potuto essere utilizzata in modo diverso e più efficace. Se, invece di finanziare interventi nel settore privato, lo Stato avesse destinato i 123 miliardi di euro all’edilizia pubblica, sarebbe stato possibile costruire fino a 1,2 milioni di nuovi alloggi popolari, un numero superiore di 400.000 unità rispetto all’attuale disponibilità di edilizia residenziale pubblica in Italia. Questo avrebbe rappresentato un’importante azione di giustizia sociale, con effetti economici simili a quelli generati dal Superbonus, come l’aumento del PIL e dell’occupazione, ma con un impatto sociale ben più significativo.
Una distribuzione territoriale disomogenea
A livello regionale, l’utilizzo del Super Ecobonus ha mostrato un forte divario tra Nord e Sud. Il Veneto è stata la regione che ha fatto maggiore ricorso all’incentivo, con 59.652 asseverazioni e un’incidenza del 5,6% sugli edifici residenziali.
Seguono Emilia-Romagna (5,4%), Trentino-Alto Adige (5,4%) e Lombardia (5,2%). Al contrario, le regioni meridionali hanno mostrato un interesse molto più basso: la Sicilia ha registrato un tasso di adesione del 2,2%, seguita dalla Calabria con il 2,6% e dalla Puglia con il 2,9%. Questa disomogeneità solleva interrogativi sulla capacità del Super Ecobonus di rispondere in modo equo alle esigenze del Paese, con alcune regioni che hanno beneficiato in misura decisamente inferiore rispetto ad altre.
Costi elevati
Un altro aspetto che alimenta le polemiche riguarda il costo medio di ciascun intervento a carico dello Stato, che si è attestato a livello nazionale a circa 247.800 euro per immobile. In alcune regioni, come la Valle d’Aosta, il costo medio per edificio ha superato i 400.000 euro, mentre altre, come il Veneto e la Sardegna, hanno registrato costi più contenuti, rispettivamente 194.913 e 187.440 euro.