Escluso il comparto agricolo, un’impresa su due in Italia è stata costretta a interrompere le proprie attività per le misure di contenimento adottate dal governo per fronteggiare la diffusione del Covid-19: in totale 2,1 milioni di unità, corrispondenti a poco meno della metà imprese attive (47,3%).
Oltre al comparto agroalimentare i settori che non hanno subito restrizioni sono quelli di pubblica utilità (energia, elettricità, rifiuti) insieme ai servizi di trasporto, di informazione, l’istruzione, la sanità e le attività finanziare e assicurative.
È quanto emerge da uno studio curato dall’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, che analizza l’impatto del lockdown sulle imprese e sui lavoratori a tempo indeterminato, determinato e con contratti di somministrazione in base alle misure adottate dal governo fino al Dpcm del 10 aprile.
In base allo studio le attività professionali sono state sospese in misura marginale (2,8%); il 41,9% delle imprese nel settore del commercio risultano attive, come il 29,2% delle imprese nel settore delle costruzioni.
La quota di imprese sospese decresce quasi sistematicamente con la dimensione aziendale: a fronte di un’incidenza complessiva delle aziende la cui attività è stata interrotta pari al 47,3%, le imprese senza addetti risultano sospese in ragione del 66,7%, mentre solo il 33,8% delle grandi imprese, con oltre 250 addetti, risultano interessate dalle misure di restrizione.
Le imprese artigiane, che hanno caratteristiche dimensionali e settoriali specifiche, risultano sospese in misura superiore al totale (55,3%). L’analisi secondo la qualifica rivela una quota di dipendenti di imprese rimaste attive minore per gli operai e gli apprendisti (53,4% rispetto al 59,7% del totale dei dipendenti).
Tale evidenza è associata alla più elevata incidenza dei provvedimenti di contenimento sul comparto manifatturiero che registra il 58,8% dei dipendenti sospesi a fronte del 40,3% del totale. Il 67,9% e il 75,3% degli impiegati e dei dirigenti, rispettivamente, sono rimasti attivi grazie al telelavoro o lo smart working.
Di particolare interesse l’analisi secondo il carattere dell’occupazione. I dipendenti a tempo determinato coinvolti dalle misure di contenimento del contagio sono poco meno di 600mila unità, occupati in prevalenza nel settore terziario (419mila).
I lavoratori a tempo determinato occupati in imprese che operano in settori per i quali è stata disposta la sospensione risultano più di altri a rischio di perdita dell’occupazione; inoltre poco meno di 225mila dipendenti a termine interessati dalla restrizione sono occupati nel settore alberghiero e della ristorazione, dove il 92,9% delle imprese risultano sospese e dove generalmente i rapporti di lavoro a termine hanno una durata estremamente ridotta ed è verosimile che in presenza del fermo della attività i contratti non siano rinnovati.
I lavoratori a termine sono generalmente più a rischio di perdere l’occupazione in fasi recessive o a causa di shock esogeni. Un problema simile riguarda i lavoratori in somministrazione, per i quali si stima una quota di occupati in settori interessati dal fermo delle attività pari ad oltre il 40%, corrispondente a oltre 140mila unità. (Italpress)