L’immagine di una persona scortata dalle forze dell’ordine che, prima di entrare all’interno della vettura di ordinanza, alza lo sguardo, con occhi ebbri di soddisfazione verso le persone che, per curiosità o per ammirazione, la assediano e li saluta con la mano aperta, richiama quella di una rockstar alla fine di un concerto. Invece no. Si tratta di Carola Rackete, la “capitana” della nave Ong “Sea Watch”, diventata paladina di una parte della comunità progressista, nazionale e non, dopo la sua decisione di violare le leggi italiane e forzare l’approdo al porto di Lampedusa non evitando la collisione con una nave della Guardia di Finanza. La “capitana” ha motivato il suo atteggiamento rappresentandolo come un atto di disobbedienza civile nei confronti di una legge che, a suo dire, viola i diritti umani. Ma qualunque sia la motivazione, la vicenda di Carola e della Sea Watch rappresenta lo specchio della società contemporanea, indaffarata a portare a compimento la predizione attribuita ad Andy Warhol per il quale «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti». Una frase incisa anche, dal 1970, sulle mura del New York Museum of Modern Art. Una società contemporanea che, grazie anche alle nuove applicazioni della tecnologia web, declina la propria esistenza in favore dell’apparire, affrancandola da quella condizione dell’essere, ancora inspiegabile, che ha tormentato e tormenta le vite di quanti ancora cercano di trovare una risposta all’inequivocabile quesito “Perché?”.
Tutto oggi è reality show. Anche la realtà che viviamo quotidianamente. Che si tratti di approdare al “Grande Fratello” o di violare delle leggi nazionali, tutto è consentito per appagare il proprio desiderio di notorietà. Anche attraverso l’arresto e un soggiorno forzato nelle patrie galere. In fondo, è molto più facile che raggiungere la fama attraverso lo studio, la ricerca, la creatività, il talento, la caparbietà. Si percorre la via più semplice, quella di creare l’evento-ad-effetto che stuzzica gli appetiti dei mass media – ingordi nel creare titoloni per attirare il sempre più folto pubblico di lettori e telespettatori ammaliati da vicende paradossali e ridicole dal sapore gossipparo – e di quella fascia di vetero-letterati i quali, orfani di ideologie ed idealità, costruiscono motivazioni intellettuali per giustificare tale evento.
Poco importa se non si finisce sulla “Treccani”. L’importante è finire, come Carola, su wikipedia, l’enciclopedia preferita dai tuttologi..