E’ stato ulteriormente chiarito in una sentenza della Cassazione di fine luglio scorso, la possibilità di un medico di richiedere alla ASL da cui dipende il giusto risarcimento per danno alla propria salute per “superlavoro” anche se non c’è stato riconoscimento economico per le ore aggiuntive lavorate.
“Il dirigente medico che eserciti un’azione di esatto adempimento, è precisato nel dispositivo del provvedimento della Suprema Corte del 29 luglio, non può ottenere nulla più della retribuzione mensile a lui spettante, la quale è stabilita, su base mensile e non oraria, in misura omnicomprensiva di tutte le prestazioni dal medesimo rese, senza che il suo ammontare abbia nulla a che vedere con il tempo effettivo dedicato al lavoro.
In particolare, egli non ha diritto ad essere compensato per il lavoro eccedente rispetto all’orario indicato dalla contrattazione collettiva, pure se esso sia dipeso dall’erroneo criterio di calcolo adottato dall’ASL per determinare il debito orario minimo assolto; in tale evenienza, potrà eventualmente far valere la responsabilità datoriale a titolo risarcitorio, ove abbia patito un pregiudizio concreto alla salute, alla personalità morale o al riposo, che dovrà specificamente allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici”
L’Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali dell’Università degli Studi di Salerno, OSMOA, evidenzia che le nuove stime dell’OIL – OMS confermano l’aumento del numero di persone il cui lavoro è stato svolto con orari prolungati (pari o superiore a 55 ore a settimana) fino a interessare 488 milioni di lavoratori nel mondo nel 2016 e che l’orario di lavoro prolungato è stato la causa di circa 745.000 morti dovute a cardiopatie e ictus: un aumento del 29 per cento rispetto al 2000.
Nello specifico, le morti causate da malattie cardiache dovute a orari di lavoro prolungati sono aumentate del 42 per cento e quelle per ictus del 19 per cento.
Già a febbraio 2023 sempre la Cassazione, stabilì la legittimità del risarcimento del danno biologico per il superlavoro del medico, stabilendo che “il limite dell’orario di lavoro deve coincidere con la tutela della salute, con un alleggerimento dell’onere probatorio in capo al lavoratore”.
“I due provvedimenti della Cassazione sono importanti – spiega il presidente FNOMCEO,
la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli – perché mettono in evidenza come i ritmi e gli orari di lavoro dei medici, derivanti dalla carenza di personale, incidano non soltanto sulla qualità dell’assistenza e su quella della vita privata e familiare ma abbiano conseguenze dirette sulla salute. Non si tratta più di una mera rivendicazione contrattuale, ma di una questione di salute e di sicurezza sul lavoro”.
L’esposizione a orari di lavoro prolungati aumenta in situazioni di emergenza o recessione economica. Nonostante le stime si riferiscano a un periodo antecedente alla crisi causata dal COVID-19, l’incremento delle ore di lavoro dei lavoratori in prima linea durante la pandemia, quello dovuto al lavoro da remoto e alla maggiore insicurezza sul lavoro potrebbe causare un aumento dei rischi sulla salute causati da orari di lavoro prolungati.
Uno studio condotto in 15 paesi dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti ha mostrato che durante la pandemia del COVID-19 il numero di ore di lavoro è aumentato di circa il 10 per cento a causa del lavoro da remoto che rende più difficile la demarcazione tra i tempi di lavoro e quelli dedicati alla vita privata e al riposo. Inoltre, dopo il primo periodo di confinamento si sono verificati dei casi di regioni o paesi che hanno congelato l’applicazione della legislazione sociale in materia di orari di lavoro chiedendo di lavorare di più per ammortizzare il ritardo dovuto all’interruzione delle attività produttive. Lo stesso è avvenuto per molte lavoratrici e lavoratori che sono occupati nelle filiere globali di fornitura come, ad esempio, nel settore del tessile.
“È paradossale che ci siano quasi 500 milioni di persone nel mondo che hanno degli orari di lavoro talmente estenuanti da compromettere la loro salute e che, allo stesso tempo, oltre 600 milioni di lavoratori non riescano a trovare un lavoro a tempo pieno e siano costretti a lavorare poche ore alla settimana” ha affermato il Direttore dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino, Gianni Rosas, durante la trasmissione radiofonica promossa dall’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) dal titolo Troppo lavoro fa male, più rischio di morte e malattie fortemente invalidanti. Uno studio OMS e ILO.
“Da una nostra analisi dei microdati delle rilevazioni sulle forze lavoro risulta che anche in Italia il cinque per cento del complesso dei lavoratori lavora mediamente più di 55 ore a settimana. Allo stesso tempo, l’80 per cento dei giovani che lavora a tempo parziale in Italia ha questo tipo di contratto perché non riesce a trovare un lavoro a tempo pieno. È necessario ripensare alla pianificazione e distribuzione dei tempi di lavoro” ha aggiunto Rosas.