Fino a pochi mesi fa lo smart working, che ormai delocalizza il sessanta per cento di tantissime attività in tutta Europa, era considerato da molti capi d’azienda, dirigenti e manager un favore al dipendente e non una nuova risorsa da sfruttare. In una riunione con alcuni manager pubblici durante il forum PA del 2018, dove ci si confrontava sulle nuove leve tecnologiche per la pubblica amministrazione, rimasi colpito dai diversi punti di opinione in merito all’argomento. La Presidenza del Consiglio insieme al Politecnico di Milano aveva già elaborato delle linee guida ma l’interpretazione di tale normativa era vista da molti di noi in maniera difforme.
L’impreparazione di molte aziende e uffici si è evidenziata con il propagarsi dello tzunami COVID19. Abituati a pensare al lavoro agile come una facilitazione solo per i dipendenti, con un’attenzione focalizzata al report quotidiano giustificativo e non al risultato concreto, si è persa l’occasione di regolare definitivamente e ordinare un nuovo modello di lavoro da eseguire. In poche parole, il lavoro agile serve a modernizzare e a reinventare il ruolo del personale. Certamente ogni tipo di funzione con lo smart working può essere ripensata ma non tanto da snaturarne il concetto fondamentale di spostamento del lavoro.
La burocrazia, forse anche la paura del nuovo, non ha consentito all’Italia di avvalersi fino ad oggi di uno strumento interessantissimo. In un clima di paura e pandemia, torna utile stare lontani e collegarsi da remoto per lavorare. Questa catastrofe ha trovato impreparati interi rami di attività, sia pubbliche che private, e quelle stesse persone che vedevano questa pratica come una sottrazione di asset, di risorse umane in un’ottica lavorativa anni settanta, si sono ritrovate spaesate nell’affrontare un così repentino cambio di marcia, una rivoluzione epocale che segnerà il modo di considerare il lavoro soprattutto nella pubblica amministrazione.
Durante la caduta del meteorite coronavirus che ha centrato in pieno molti uffici, costretti a delocalizzare in pochissimi giorni attività e ad individuarne altre a riguardo, un giovane Ministro la Dott.ssa Fabiana Dadone ha dettato regole semplici ma rivoluzionarie. L’ordinarietà per la P.A. è lo smart working, andando incontro a quella visione di futuro e di revisione del concetto di “travet”, che molti paesi europei hanno intrapreso da tempo.
Ringraziando il Ministro per la sua cortesia pongo subito una domanda:
Mi ha colpito il suo concetto di coraggio. Pur essendo a guida di un Ministero che il cittadino vede come il tempio della burocrazia, lei parla di coraggio, di vittime del dovere, di smart working, di produzione e non di ore passate alla scrivania, di partecipazione critica del cittadino e non solo di furbetti del cartellino e di sanzioni. Davvero la P.A può rinascere tecnicamente e psicologicamente attraverso le sue vedute, da questa situazione?
Questo è l’auspicio e l’impegno che ho assunto. Dirò di più, la rinascita dovrà essere anzitutto culturale oltre che tecnica e psicologica. Lei stesso ha ricordato i limiti di alcuni manager e dirigenti, ma se andiamo a guardare la disciplina, essa stessa individua nel lavoro agile una modalità organizzativa volta a “conciliare i tempi di vita e di lavoro”, quindi come fosse volto quasi esclusivamente al benessere del lavoratore e della sua famiglia, quando invece si tratta di uno strumento, di un modello organizzativo ben più avanzato, utile e proficuo anche per l’azienda e le amministrazioni. Per questo faccio appello al coraggio. Perché è necessario per abbandonare vecchi schemi culturali, antiche certezze, determinati porti sicuri. Oggi la situazione ci costringe a navigare in mare aperto e solo in questo modo si può conoscere, aggiornarsi e, in definitiva, cambiare, evolversi. Lo smart working, a regime, potrà essere uno strumento molto utile per valorizzare il merito e le eccellenze. E soprattutto per restituirci una P.A. più a misura sia di chi vi lavora sia di chi la fruisce.
Lei parla di giusto valore del coraggio di chi si trova in prima linea contro il coronavirus. Nel corso dell’esame del decreto “Cura Italia”, si sta battendo per estendere il riconoscimento di “vittime del dovere”, una promessa che aveva fatto in tempi non sospetti già nel novembre del 2019, lontano da questa emergenza.
– È un provvedimento che non risolverà tutti i problemi, ma che aiuterà alcuni di quelli che hanno molto sofferto per colpa di questa pandemia. Inoltre, ha un valore simbolico importante: lo Stato e la collettività tutta riconoscono l’impegno, il coraggio e la dedizione di quegli italiani che si trovano in prima linea, ogni giorno, per tenere in piedi il paese. Nel decreto il lavoro di maggioranza e Governo ha condotto allo stanziamento di un fondo di dieci milioni di euro per sostenere i familiari dei medici, infermieri e operatori sociosanitari e caduti vittime del Covid-19. Si tratta di un primo passo che reputiamo basilare ma che, a mio modo di vedere, dovrà svilupparsi in un riconoscimento più ampio che coinvolga anche a chi, fuori dal settore sanitario, perde la vita per contribuire al mantenimento dei servizi e delle attività considerate essenziali e indifferibili.
Tutelare il lavoro nella P.A. significa anche salvaguardare l’imprenditore, il cittadino, il pensionato, gente che si confronta quotidianamente con gli uffici pubblici. Come vede la fase di ripresa? Si terrà conto di quello che sta succedendo? Cambierà definitivamente la concezione dello Stato regolatore e impositore e comincerà quella che lei chiama “Smart Nation”?
Per arrivare a una Smart Nation compiuta servono investimenti, tecnologie aggiornate, formazione continua, versatilità culturale, procedure snelle e ancor più semplificate. Dobbiamo lavorare ancora tanto ma i progressi sono evidenti e la direzione è segnata. Da questa crisi la P.A. dovrà uscire diversa rispetto a come vi è entrata, e il cittadino sarà inevitabilmente sempre più al centro del rapporto tra società civile e amministrazioni. Ci stavamo lavorando già prima dell’arrivo del Covid-19, penso soltanto alla piattaforma per le consultazioni pubbliche online “ParteciPa”, che abbiamo lanciato a dicembre e alla revisione del sistema di valutazione che deve diventare esso stesso elemento propedeutico alla programmazione dei servizi e quindi alla organizzazione del lavoro nella P.A. L’epidemia ha accelerato il processo, ora dobbiamo trarre alcune lezioni importantissime da ciò che è accaduto.
Lei ha radicata nella sua concezione politica e, direi, personale il tema della sostenibilità ambientale. Molti studi ipotizzano l’inquinamento come concausa di questa emergenza. Che regole si può dare la P.A. per essere in prima linea in questa fase e che strumenti attuare.
Il tema del collegamento tra cambiamenti climatici e diffusione delle epidemie è serio e molto studiato. Non posso essere io a trarre conclusioni in tal senso. Di sicuro, la digitalizzazione di talune attività e servizi favorisce la sostenibilità ambientale, per esempio riducendo gli spostamenti delle persone, rimodulando anche le dinamiche di consumo e conseguentemente anche la produzione di rifiuti e il loro smaltimento. L’informatica, ovviamente accompagnata a una vera semplificazione dei processi, ci aiuterà anche ad abbattere, tra l’altro, la quantità di carta consumata negli uffici. Senza dimenticare la sfida cruciale del “green public procurement”, sul quale stiamo spingendo molto: ricordo, a titolo di esempio, il vincolo che abbiamo introdotto sull’acquisto di veicoli zero o low emission per il parco auto delle P.A. Non può esistere una macchina dello Stato che sostenga davvero la competitività del Paese senza un forte impegno sui temi della compatibilità ambientale.
Signor Ministro, lei ha firmato un protocollo d’intesa con Cgil Cisl e Uil per la prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine all’emergenza del Covid 19, in questi casi la tempestività salva molte vite ma anche l’indicazione data alle amministrazioni di confrontarsi con i sindacati è un punto importante di questa intesa. Condividere informazioni e stati d’animo e di coscienza della forza lavoro è un impegno del suo Ministero anche finita l’emergenza?
Quella del dialogo e del confronto nonché della condivisione delle scelte, laddove possibile, è stata da subito un’impostazione centrale nel mio mandato e continuerà ad esserlo, naturalmente, anche dopo l’emergenza. Ci sono scelte importantissime che dovremo fare, sfide enormi da affrontare per uscire da questa fase storica. E nessuno può farcela da solo. Vale la pena ricordare che dopo aver sottoscritto un protocollo sulla sicurezza del pubblico impiego con Cgil, Cisl e Uil, a distanza di qualche giorno lo abbiamo allargato alle altre organizzazioni sindacali: Cse, Cida, Cosmed e Codirp, rappresentative nel settore pubblico, particolarmente tra la dirigenza. Si tratta in totale di sette sigle, sulle attuali dodici che siedono al tavolo di contrattazione con Aran.
Reddito di emergenza, misura di dignità o misura di sicurezza sociale?
La dignità dell’individuo non è perseguibile in concreto senza sicurezza sociale che, soprattutto in queste fasi, lo vediamo, va garantita ad ampi strati della popolazione in difficoltà. La stessa libera espressione dell’individuo e delle sue potenzialità deve partire da una base, da un trampolino che dobbiamo fornire a tutti, in modo che ciascuno possa raggiungere i propri traguardi secondo le proprie capacità. Appartengo ad un movimento che ha visto in una misura concreta di contrasto alla povertà assoluta uno strumento non più procrastinabile per garantire quella sicurezza sociale di cui parliamo e al tempo stesso promuovere le possibilità di realizzazione personale. Il reddito di emergenza rappresenta un punto altrettanto improcrastinabile nelle condizioni emergenziali attuali, ciò che ne verrà lo vedremo nel corso dei prossimi giorni. Spero che il dibattito non si fermerà alla mera diatriba politica.
Transizione digitale, funzione pubblica e competenze tecnologiche. Il suo orientamento in tempi non sospetti è stato di coinvolgimento del cittadino con la piattaforma “Partecipa”; il risultato e non l’adempimento: essere efficienti non significa essere efficaci. Siamo pronti a questo cambio di mentalità?
Non sono mai stata una giovanilista, ma è oggettivo che le condizioni anagrafiche di grandissima parte della P.A. rendano più complesso questo salto mentale. Tuttavia, sto cogliendo segnali importanti che mi inducono a essere ottimista. Stiamo lavorando sulla formazione continua dei dipendenti, sull’inserimento di nuove competenze e nuove mentalità nella P.A., sul suo necessario ringiovanimento. Le rivoluzioni non si fanno in un giorno solo, ma, anche qui, credo che l’emergenza epidemiologica stia accelerando determinati processi e che il futuro sia più vicino di quanto si pensi.
Linguaggio e P.A.: Coinvolgendo l’Accademia della Crusca è giunta l ‘ora di dare una ripulita al drafting normativo? Si toglieranno molti “visto, visto, visto dai decreti e magari oniricamente troveremo molti più “vedremo”. Indubbiamente il linguaggio cambierà per l’evoluzione smart delle nostre abitudini.
Il linguaggio della burocrazia è già cambiato e cambierà ancora. La lingua è sempre un organismo vivo che si adatta ai tempi. Quella della P.A., chiaramente, lo ha fatto con più lentezza e resistenze. La sfida è di mettersi al passo con il sentire del Paese reale, non essere respingenti nei confronti del cittadino e, al tempo stesso, garantire quella doverosa precisione e affidabilità di cui le P.A. non possono fare a meno. Con la Crusca abbiamo avviato una collaborazione importante che sta dando e darà frutti da qui ai prossimi anni.
Lei è un giovane Ministro con idee ben definite e proviene da un partito che fa della partecipazione attiva un mantra. Esiste dalla sua esperienza un sottogoverno che detta le regole (o tenta), o magari è la politica che si lascia trasportare inconsciamente certe volte?
Il tema del rapporto tra politica e alte burocrazie è al tempo stesso complesso e appassionante. Un rischio di “cattura” dell’autorità politica da parte dell’altissimo dirigente è sempre teoricamente presente. Ma se la politica ha principi saldi e idee chiare, i tecnici non possono che adeguarsi, trovando la strada migliore per attuare le azioni che chi occupa pro-tempore una carica ha il diritto-dovere di mettere in pratica. Se mi permette la battuta, pretendiamo che i dirigenti delle amministrazioni e quindi i membri di sottogoverno, come lo definisce lei, abbiano una elevata preparazione tecnica. In buona sostanza, per evitare qualsiasi rischio gli esponenti politici dovrebbero avere una certa preparazione, ma soprattutto dovrebbero essere pronti a farsene una, crescendo e imparando, anche in fretta, sul terreno.
La protezione Civile sta facendo un lavoro enorme, è uno strumento che ha bisogno di celerità e non rimanere imbrigliato in burocrazia inutile. Che indicazioni può dare? Che azioni intende predisporre per aiutare a velocizzare la tutela nazionale?
La Protezione civile è un asset di grande valore del Paese, in giro per il mondo la studiano come modello di azione da imitare. Certo, ci siamo trovati tutti di fronte a una emergenza di tipo nuovo, con dinamiche molto diverse rispetto a un terremoto o un’alluvione. Ci sarà da riflettere sul Titolo V, sulla coabitazione di diversi livelli di governo e sull’incrocio delle competenze che riguardano le materie concorrenti.
Che farà il giorno dopo la sicura fine del lockdown?
In realtà non ci ho ancora mai pensato, sono giorni particolarmente pregni, che sto vivendo in grandissima parte lontano dalla mia famiglia, da mio figlio e dal mio compagno. Se ci penso, però, credo che cercherò un posto affollato. Me ne starò lì, per un po’, a godermi quello che probabilmente nessuno, io per prima, avrebbe considerato un valore, una fortuna, un elemento centrale della nostra vita fino a qualche settimana fa.
Ringrazio il Ministro e il suo Capo Ufficio stampa. La velocità che ha portato questa intervista dal pensare di farla a realizzarla e pubblicarla, forse è davvero il segno di un cambiamento, di rapporti, di pensiero, di prospettiva del futuro. Prima di chiudere l’articolo, come di consueto, prendo spunto dalle idee dell’intervistato per consigliare due libri per “resistere tra le mura domestiche”. Sogni antichi e moderni di Pietro Citati, impegnativo ma se non si studiano i sogni è difficile anche realizzarli; l’altro è Ritratti del coraggio di Kennedy del 1955 “…Il coraggio della vita quotidiana è spesso uno spettacolo meno grandioso del coraggio di un atto definitivo, ma resta pur sempre una miscela magnifica di trionfo e tragedia…”. Restiamo a casa per Pasqua e laviamoci spesso le mani…una sola volta può portare a pericolose conseguenze, vedi Ponzio Pilato…