Gli arrosticini abruzzesi dividono Coldiretti da Confagricoltura; ovvero tra chi vorrebbe il Dop (Denominazione origine protetta) e chi vorrebbe Igp (Indicazione geografica protetta). Non è la guerra dei marchi, ma due concezioni opposte di tutela delle eccellenze agroalimentari. Nel primo caso si tratta di garantire la reale origine della carne da pecore allevate in Abruzzo mentre nel secondo caso di consentire di utilizzare il nome della regione per le carni importate, anche da paesi lontani. Secondo Coldiretti “sembrerebbe a tutti chiaro da che parte stare nell’interesse degli allevatori e dei consumatori ma soprattutto della trasparenza dell’informazione.” Confagricoltura, invece, sostiene che mancherebbe requisiti qualitativi e quantitativi per il Dop.
La versione di Confagricoltura
Stefano Fabrizi, direttore di Confagricoltura, ha dichiarato apertamente l’opposizione alla risoluzione della Commissione regionale per il “Riconoscimento Dop Arrosticino Abruzzese”. La motivazione? Ritenere “velleitario parlare di creare una filiera della Dop sia per mancanza di materia prima, sia per mancanza dei requisiti qualitativi e quantitativi, proprio perché i nostri allevamenti si sono specializzati nella produzione del latte relativi prodotti trasformati e agnelli e solo pochi producono la carne destinata alla produzione degli arrosticini”. No, dunque, all’arrosticino Dop abruzzese, con carne locale, perché occorre prendere atto che “l’allevamento ovicaprino in Abruzzo è in profonda crisi, ogni giorno chiudono stalle”, e in questa situazione “è velleitario parlare di creare una filiera della Dop.” La stragrande maggioranza degli arrosticini, spiega Confagricoltura, vengono prodotti con pecore straniere importate soprattutto da Francia, Spagna, Irlanda e Paesi dell’est Europa, per 700mila capi, e quelli locali sono poco meno di 150mila.
La versione di Coldiretti
Mentre Coldiretti sostiene che la Dop va letta come un forte incentivo a usare cane locale, “contrastando il preoccupante fenomeno di massificazione che ne sta disperdendo le originarie caratteristiche organolettiche e culturali a vantaggio di una promiscuità dell’immagine stessa dell’arrosticino” e di un cannibalismo commerciale che a breve ne determinerà la perdita dell’identità abruzzese e dei requisiti minimi di originalità. “Senza dimenticare che la provenienza estera delle carni può portare a carenze nei controlli”. Per Coldiretti da Denominazione di origine protetta è una “opportunità di valorizzazione e impulso a tutta la filiera di produzione e in particolare alla pastorizia abruzzese. Oggi, sul mercato, sono presenti troppe imitazioni dell’arrosticino abruzzese, prodotti con carni provenienti al di fuori del nostro Paese, a scapito delle aziende locali e quindi automaticamente della valorizzazione del prodotto, della sostenibilità delle produzioni e della salvaguardia dei paesaggi e dei pascoli montani”.
Analogie e ideali
Le associazioni degli agricoltori concordano sull’obiettivo di tutelare l’arrosticino, ma non sul metodo. Confagricoltura ritiene che “mettere in piedi un progetto di miglioramento genetico per reintrodurre razze la carne, è molto costoso e aleatorio ci vogliono non meno di 10 anni e occorrerebbero giovani che investono in questo progetto ingenti risorse economiche per perseguire questo obiettivo.” E fa qualche esempio: “Purtroppo, dobbiamo ricordare gli scarsi successi ottenuti sia dalla Dop dello Zafferano dell’Aquila, sia dalle tre Dop regionali dell’olio Evo. Aver ristretto i territori, con scarse produzioni e pochissime aziende in grado di investire, hanno relegato queste produzioni a delle nicchie utili ad alimentare una economia locale ma penalizzando le altre aree regionali che non hanno potuto godere del marchio alla produzione.” Coldiretti, invece, ritiene di dover “mettere al centro i pastori abruzzesi accanto alle esigenze dei consumatori e non intende indietreggiare sulla Dop, perché è l’unico marchio comunitario che garantirebbe l’utilizzo di carne veramente abruzzese con risultati e vantaggi per tutto il settore zootecnico e del consumatore finale che deve poter scegliere di mangiare un prodotto fatto con vera carne abruzzese e non semplicemente macellata o confezionata in Abruzzo”.