giovedì, 27 Giugno, 2024
Attualità

Dall’antropocene al plasticene fino alla plasticemia

Un continuum pericoloso per l’ecosistema e la fertilità umana, sia maschile sia femminile determinato dall’eccesso di plastica

Durante l’Olocene, il nostro Pianeta ha sperimentato un periodo di stabilità in cui il susseguirsi degli eventi naturali era regolato dalla forma predominante del ritmo naturale. Questo equilibrio è stato mantenuto grazie al fitoplancton e alle foreste che hanno bilanciato l’atmosfera catturando l’anidride carbonica. Tuttavia, l’attuale era geologica chiamata “Antropocene” è caratterizzata dalle profonde trasformazioni causate dall’uomo sulla Terra, che hanno portato a una rapida scomparsa della biodiversità e alla perdita di migliaia di specie viventi. La nuova era sembra essere iniziata negli Anni ’50, con le conseguenze dei test nucleari e altri indicatori come l’utilizzo dei combustibili fossili, dei fertilizzanti e della plastica. La produzione su larga scala di plastica è iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale ed è aumentata notevolmente fino ad oggi, con un impatto globale significativo.

Nel 2050 si produrrà 1.1. miliardi di plastica l’anno

Le isole di plastica galleggiante nei mari, così come la presenza di ogni tipo di materiale plastico alle foci di fiumi, in particolare nel sud-est asiatico, indicano visivamente quanto è drammatico questo tipo di inquinamento. Ogni anno oltre 400 milioni di tonnellate di plastica vengono prodotte e sempre di più ne verrà prodotta, tanto che il traguardo di 1.1 miliardi all’anno di tale produzione sarà raggiunta entro il 2050. La pervasività della plastica sta influenzando talmente profondamente l’ecosistema e i cicli biogeochimci del Pianeta che a ogni latitudine è diventata un elemento onnipresente e distintivo nella geologia della terra, tanto da spingere gli scienziati a coniare il termine “Plasticene” per indicare l’attuale era geologica caratterizzata da questa massiva presenza. Inoltre, anche il clima può essere influenzato dalla plastica considerando che dalla degradazione della plastica vengono emessi gas serra altamente climalteranti come il metano e l’etilene.

In 1 litro d’acqua il 90% delle particelle sono nanoplastiche

Dai processi di deterioramento della plastica si formano poi le microplastiche, particelle di plastica di dimensioni comprese tra 1 e 5.000 micrometri (1 milionesimo di metro), grandi come i batteri e su scala ancora più piccola le nanoplastiche che per le loro dimensioni inferiori a 1 micrometro penetrano ancora più profondamente ovunque. Recentemente sono state ritrovate in quantità importanti (tra le 110mila e le 370mila unità) particelle nell’acqua di bottiglie di plastica da 1 litro dove il 90% di esse era costituito appunto da nanoplastiche e il 10% da microplastiche. Queste ultime, più studiate, possono avere forme differenti (fibre, frammenti, sfere, perline, pellicole, scaglie, pellet e schiuma) e colori diversi a seconda della forma originale delle grandi plastiche da cui derivano e per queste chiamate microplastiche secondarie, mentre quelle primarie sono appositamente prodotte dall’uomo sia per le loro proprietà abrasive sia per migliorare la stabilità di alcuni prodotti, e per questo rinvenibili all’interno di cosmetici, dentifrici, prodotti per la casa, detergenti, vernici.

Nel 2023 scoperte nell’urina umana

Le microplastiche entrano principalmente nel corpo umano attraverso l’ingestione di cibo, acqua e altre bevande e per inalazione, ma anche il contatto diretto con la pelle, come nel caso di prodotti per la cura personale, per esempio cosmetici. Un adulto può accumulare migliaia di queste particelle di microplastiche nel corso della sua vita. Oramai le microplastiche le ritroviamo in diversi tessuti umani, inclusi capelli, polmoni, reni, fegato, milza, meconio, placenta, fluidi corporei come saliva, latte materno e sangue. Nell’ambito del progetto di ricerca EcoFoodFertility (www.ecofoodfertility.it), uno studio multicentrico di biomonitoraggio umano che coordino da anni su coorti di giovani maschi sani, non fumatori, omogenei per stili di vita e indici di massa corporea in aree ad alto e basso tasso d’inquinamento in Italia per valutare la presenza di contaminanti e i loro effetti sulla salute riproduttiva, le abbiamo ritrovate per la prima volta nelle urine e pubblicato su una rivista internazionale nel gennaio 2023. In questo studio abbiamo identificato 7 frammenti di materiale polimerico, delle dimensioni tra i 7 e i 15 micron, di cui due in campioni femminili e gli altri in campioni maschili, ipotizzando come via di ingresso la via peritubulare renale, più che transglomerulare data la maggiore selettività della membrana glomerulare.

Rintracciate anche nello sperma maschile

Nel luglio 2023 abbiamo, poi, pubblicato uno studio, sullo sperma umano, che ha rilevato 16 frammenti di microplastiche delle dimensioni da 2 a 6 micron, la cui composizione chimica fa riferimento al polipropilene (PP), al polietilCene (PE), polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS), polivinilcloruro (PV), policarbonato (PC), poliossimetilene (POM) e materiale acrilico. Le vie più probabili di passaggio al seme umano sembrerebbero avvenire dall’epididimo e dalle vescicole seminali, strutture più facilmente suscettibili a processi infiammatori che possono favorire la maggiore permeabilità, ma anche per alterazioni importanti della barriera ematotesticolare.

Più plastiche meno fertilità

In questo studio abbiamo anche notato una presenza maggiore di microplastiche in relazione alla più scarsa qualità seminale, che però necessita di ulteriori e successivi approfondimenti, cosa che faremo con un progetto appena finanziatoci dal Ministero della Salute. Appena ad aprile 2024 abbiamo pubblicato in preprint (6) un ulteriore studio che individua per la prima volta in 14 donne su 18 sottoposte a fecondazione assistita la presenza di microplastiche nei loro fluidi follicolari, completando le valutazioni su apparato urogenitale maschile e femminile e anche qui abbiamo osservato una correlazione fra concentrazione di microplastiche e parametri di ridotta funzionalità ovarica. Sta di fatto che le stesse microplastiche fanno da cavallo di Troia per altri tipi di contaminanti ambientali (diossine, policlorobifenili, ftalati, bisfenoli, metalli pesanti), che legandosi ad esse procurano ulteriori danni all’interno agli organi riproduttivi, particolarmente sensibili agli inquinanti chimici. Al momento gli effetti delle microplastiche e nanoplastiche sono stati studiati in particolare su cellule in coltura, oltre che su pesci e topi e comunque hanno dimostrato di indurre, stress ossidativo, processi infiammatori e altri danni.

Negli ultimi 50 anni riduzione del 51.6% degli spermatozoi

Sta di fatto che il ritrovamento di queste microparticelle di plastica, in una matrice così sensibile per la conservazione e l’integrità del nostro patrimonio trasmissibile, non è certo una bella notizia per un “maschio in declino”. Diversi studi negli ultimi decenni rilevano, tra il 1973 e il 2018, una riduzione del 51.6% del numero degli spermatozoi a livello globale. Dato ancor più preoccupante se l’accelerazione del fenomeno è attribuibile agli ultimi 20 anni, in particolare nei Paesi del Sud del mondo (Brasile, Nigeria, India, Cina) dove i tassi di inquinamento sono cresciuti in maniera esponenziale al pari degli elevati tassi di “sviluppo”, evidentemente “non” sostenibile, di queste aree del Pianeta. La Plasticemia, una nuova forma pandemica Infatti, oltre agli stili di vita, gli effetti degli inquinanti chimici e fisici sempre più rappresentano la più importante minaccia alla salute pubblica e il drammatico declino della qualità spermatica, rappresenta lo specchio più fedele e misurabile di quanto le attività umane impattano negativamente sulla salute globale di tutte le specie viventi. In questo scenario, l’invasione sempre più documentata anche delle sostanze plastiche, i danni riproduttivi documentati in modelli animali (pesci e topi) e la facile riproducibilità degli stessi nell’uomo, che configurano una minaccia alla specie umana nella sua essenza, fa ragionevolmente pensare a una nuova forma pandemica silente, ma potenzialmente letale, di origine ambientale, che possiamo identificare con il termine di Plasticemia.

 

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