Uno dei leit motivi di queste settimane è che “nulla sarà come prima”. E c’è da augurarselo, in meglio, ovviamente. Ma bisogna cominciare a pensarci subito perché quando la pandemia sarà sotto controllo o starà per finire bisognerà avere già chiaro cosa fare.
Si dimentica troppo facilmente che i grandi leader che vinsero la Seconda Guerra Mondiale cominciarono a pensare al “dopo” molto prima che Hitler si suicidasse nel bunker di Berlino.
Già nel 1941 Franklin Delano Roosvelt e Winston Churchill firmarono l’Atlantic Charter, un accordo che è considerato l’antesignano delle Nazioni Unite. Un anno dopo nel Regno Unito fu pubblicato il Beveridge
Report che prefigurava la nascita del Welfare State. Nel 1944 nel pieno della guerra, la conferenza di Bretton Woods gettò le basi per la nuova organizzazione finanziaria mondiale.
Insomma, nel pieno della tempesta occorre tracciare la rotta per quella che sarà la navigazione quando i marosi si saranno calmati. Se guardiamo a quello che i vari leader politici mondiali stanno facendo in questi giorni non resta , per ora, che lo sgomento nel constatare l’assenza di qualsiasi visione del futuro che non potrà essere come quello cui eravamo abituati a pensare e che la pandemia ci obbliga a riscrivere.
Il capitolo più dolente è l’Europa. 27 Paesi che con i loro 500 milioni di abitanti rappresentano l’area di libero scambio più ricca del mondo, invece di sentirsi richiamati ad un rafforzamento della loro cooperazione, fanno l’esatto contrario. Il costo di vite umane, il crollo dell’economia e la devastazione sociale dovrebbe indurre i 27 a mettersi in comune le risorse per fronteggiare tutt’e tre le emergenze, sanitaria, economica e sociale. Invece i leader europei dell’area che gravita intorno alla Germania sembrano avere il cervello paralizzato dal culto astratto di parametri di bilancio senza rendersi conto del terremoto che sta succedendo. Da questa vicenda o l’Europa esce rafforzata oppure si sgretolerà definitivamente con danni inenarrabili. Non sarà possibile andare avanti come si è fatto finora.
Lo hanno capito in tanti, scienziati, economisti, uomini cultura. Perfino grandi aziende tedesche, che vivono quotidianamente la complessità della supply chain europea, si sono rese conto che se da questa crisi qualche Paese esce con l’economia devastata ne risentiranno tutti anche colossi come quelli dell’automobile . Eppure i politici che dovrebbero avere visioni più ampie degli imprenditori tardano a capire. Il nuovo ordine mondiale dovrebbe avere in un’Europa rafforzata il perno e il punto di equilibrio.
Le altre potenze vanno ciascuna per la sua parte senza un’idea di come dare stabilità alle relazioni politiche ed economiche internazionali. La Gran Bretagna dopo 3 anni di tentennamenti sulla Brexit, tentenna sulla strategia contro il virus, non ha una chiara idea di alleanze da stringere neanche con gli Stati Uniti, per via dei forti contrasti sul 5G cinese.
Gli Stati Uniti, travolti dalla pur prevedibile esplosione della pandemia, sono in piena campagna elettorale presidenziale e non hanno un’idea precisa di quale ruolo giocare: se coltivare l’isolamento , le guerre commerciali contro tutti o se invece riproporsi come potenza stabilizzatrice e centrale del nuovo ordine mondiale in sintonia con una grande Europa. Se gli Stati Uniti e un’Europa più forte stringessero
un’alleanza comune non solo nell’ambito difensivo-militare della Nato ma anche sul piano economico e delle politiche sociali, il mondo ne trarrebbe un enorme giovamento. Avremmo due aree economiche ricche, con oltre 800 milioni di persone che, collaborando e integrandosi, potrebbero diventare la vera superpotenza mondiale saldamente ancorata alla democrazia, alla libertà e a quei valori di pace e cooperazione internazionale che hanno segnato lo sviluppo dopo la Seconda guerra mondiale e fino all’irruzione della Cina nel mercato globale.
Pechino sicuramente dovrà rivedere la sua collocazione . Non potrà continuare a coltivare ,segretamente, il sogno di imporsi nei prossimi decenni come “la” superpotenza perché assisterà ad una graduale fuoriuscita di parte delle produzioni mondiali dal suo territorio e questo la renderà meno strategica. E dovrà sempre più uscire dalla comoda posizione di Paese dittatoriale che gioca sul libero mercato godendo dei benefici ma senza accettarne tutte le regole, prima fra tutte quella di garantire la democrazia e la libertà per i propri cittadini.
Quanto alla Russia, per ora Putin sembra concentrato solo sull’assicurarsi il potere fino al 2034, quando avrà 81 anni, coltivando il sogno della ricostruzione di una Grande Russia influente su vari scacchieri soprattutto per via militare.Una visione miope che, se finora ha concesso a Mosca qualche bottino come la Crimea, al prezzo di pesanti sanzioni internazionali, e qualche sbocco in più nel Mediterraneo, non ha ridato alla Russia un ruolo di potenza diplomatica in grado di condizionare i giochi sullo scacchiere mondiale.
Insomma, per ora i leader politici mondiali differenza della lungimiranza dei loro predecessori negli anni ’40, sembrano bisognosi di una visita oculistica.