“Come sostenevano Falcone e Borsellino, la Repubblica ha dimostrato che la mafia può essere sconfitta e che è destinata a finire. L’impegno nel combatterla non viene mai meno”. Con queste parole il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto onorare il ricordo dei due magistrati barbaramente assassinati da Cosa nostra. E lo ha fatto ieri in occasione del 32esimo anniversario dalla morte di Falcone. Già, perché era il 23 maggio del 1992 quando avvenne uno degli attentati più cruenti ai danni del Paese a opera della criminalità organizzata siciliana che pose fine alla vita di uno dei più grandi servitori dello Stato. Insieme a lui, nella oramai (purtroppo) famosa strage di Capaci, vennero ammazzati anche la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Strategia criminale
E ieri il Capo dello Stato, palermitano doc e colpito lui stesso dalla violenza della criminalità organizzata (il fratello Piersanti, all’epoca governatore della Sicilia, fu assassinato il 6 gennaio 1980 da Cosa nostra) ha voluto ricordare la data del 23 maggio, simbolo di “un attacco che la mafia volle scientemente portare alla democrazia italiana. Una strategia criminale, che dopo poche settimane replicò il medesimo, disumano, orrore in via D’Amelio”, a Palermo, dove persero la vita Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. Tutte vittime della strategia terroristica della mafia che il Capo dello Stato ha voluto ricordare come “testimoni di legalità, il cui nome resta segnato con caratteri indelebili nella nostra storia”. Due eredità, quelle lasciate da Falcone e Borsellino, che sono “un patrimonio vivo che appartiene all’intera comunitànazionale e portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore”. I loro nomi, ha aggiunto il Presidente, sono affermazione di impegno per una vittoria definitiva sul cancro mafioso “e il pensiero commosso va ai loro familiari che ne custodiscono memoria ed eredità morale”.
Istituzioni e popolo uniti
Mattarella ieri nel corso del suo messaggio ha ricordato di come fu determinata la reazione delle istituzioni e del popolo italiano in seguito a questi due episodi da cui “scaturì una mobilitazione delle coscienze”. E ha aggiunto che i tentativi di inquinamento della società civile, le intimidazioni nei confronti degli operatori economici “sono sempre in agguato”. E dunque la Giornata della legalità, celebrata ieri, è l’occasione giusta per richiamare tutti a una responsabilità comune: “È necessario tenere alta la vigilanza. Gli anticorpi istituzionali, la mobilitazione sociale per impedire che le organizzazioni mafiose trovino sponde in aree grigie e compiacenti, non possono essere indeboliti”.
“Le idee restano”
La figura di Falcone è stata ricordata ieri anche dal Premier Giorgia Meloni: “Ci ha insegnato che gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”, ha scritto sui propri social, aggiungendo che bisogna fare tesoro di queste parole perché “è il modo migliore che tutti noi abbiamo per onorare il sacrificio di chi ha perso la vita a Capaci quel 23 maggio 1992”.
Il Primo Ministro ha quindi citato gli eroi morti in quella strage e ricordando il sacrificio di tutti gli altri che hanno combattuto per una società libera dall’oppressione mafiosa: “Non disperdere i loro insegnamenti, il loro coraggio, portare avanti quei valori di libertà, giustizia e legalità che hanno reso immortali: più forti del tritolo e delle bombe di vigliacchi criminali senza scrupoli.
Le loro idee camminano sulle nostre gambe e su quelle di chi verrà dopo di noi. Contro ogni mafia, sempre”. Per il Presidente della Camera Lorenzo Fontana l’esempio dei grandi servitori dello Stato “deve continuare a ispirare tutti i giorni e in ogni sede l’opposizione più ferma e rigorosa a ogni forma di criminalità organizzata e a chiunque intenda sovvertire l’ordine democratico con la violenza e la sopraffazione”. Ha parlato di “esempi per le future generazioni che l’Italia non potrà mai dimenticare” invece il Presidente del Senato Ignazio La Russa.
Interessi convergenti?
Ieri intanto a Palazzo Jung, a Palermo, è stato inaugurato il Museo del presente, alla presenza di Maria Falcone, sorella del giudice. “La mafia”, le sue parole, “è un grosso problema ancora e anche se non uccide, non uccide perché ha capito che le stragi sono state per loro un grande guaio”. In merito alla morte del fratello, ha spiegato che “sicuramente la criminalità lo voleva morto per via del maxi processo”, parlando poi di ipotetici interessi convergenti accanto alla mafia, “ma questo oggi purtroppo non lo sappiamo ancora.
Io vorrei dire che non c’è niente, che non ci sono poteri dello Stato sotto a quella strage, perché io amo lo Stato italiano e non posso pensare che alcuni delle istituzioni abbiano tramato questo”. Alle celebrazioni per l’anniversario della strage di Capaci ha preso parte anche il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi: “È stata una giornata molto importante perché la memoria significa non solamente omaggiare i tanti eroi nella lotta alla criminalità, ma proiettare verso le generazioni future un esempio molto importante”. “Più che eroici servitori dello Stato sono stati dei martiri, quasi dei santi”, le parole invece del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
L’anniversario di Giovanni Goria
Da segnalare che ieri è stato anche il 30esimo anniversario della morte dell’ex Presidente del Consiglio Giovanni Goria, ricordato ad Asti, città natale del politico esponente della Dc. Presente, tra gli altri, il Capo dello Stato Mattarella. “Questa è una giornata in cui, particolarmente nella mia città, ma in tutta Italia, si ricorda un drammatico evento (Capaci, ndr) e il valore della legalità. Ricordarlo anche qui significa quanto l’Italia sia unita nei suoi valori di fondo”, le parole del Presidente che ha ricordato che seppur nella brevità della vita che gli è stata concessa (Goria è scomparso a soli 51 anni a causa di una malattia, ndr), “lo statista piemontese ha messo a frutto i talenti di cui fu dotato, in piena aderenza a quei valori che la gente dell’astigiano hanno sempre manifestato: l’umiltà, il senso del limite, la concretezza, la coscienza, avvertita anticamente nel senso del dovere”.