giovedì, 19 Dicembre, 2024
Politica

Tristi elezioni

Ricordo vividamente i giorni delle elezioni ai tempi della mia adolescenza, negli anni ’60, più di mezzo secolo fa. Giorni gioiosi, vivissimi, dov’era tutto un dibattere, un inseguire e pressare l’elettore fino a pochi metri dal seggio. Una programmazione rigorosa da parte di partiti politici presenti e vivi nella società, organizzatissimi.

C’erano gli specialisti dell’accompagnamento al seggio dei “diversamente abili”, anche se allora si chiamavano, senza che ciò suonasse un’offesa, col loro nome. C’erano le suorine, molto più numerose di oggi, che uscivano dal convento per andare al seggio per votare la DC e che nell’ospedale raccoglievano (o forse esprimevano loro stesse) il voto dei ricoverati. Ma anche i sindacalisti presenti e attenti, che braccavano i braccianti agricoli ed i pochi operai della mia povera Locride.

Tutti poi cercavano l’analfabeta: per esprimere la “preferenza” (pensate: l’onorevole lo sceglieva l’elettore!) era sufficiente scrivere sulla scheda il numero; così i candidati più ricchi si erano inventati una sorta di normografo col loro numero sopra, di modo che anche chi non sapeva scrivere potesse votarli. La ricerca del voto era così capillare che ricordo perfettamente due giovani studenti universitari sottrarre un voto alla DC, avendo intercettato una nonnina un po’ confusa, convincendola che per votare per i “cristiani” doveva ricalcare quel numeretto a fianco alla “fiamma” della “Madonnina”.

Una festa per tutti, comunque, con i candidati presenti in tutti i bar, premurosissimi nell’offrire il caffè. Era l’epoca in cui la percentuale degli elettori votanti si aggirava su quasi il 90%, un numero oggi neppure concepibile. Poi la serata a girare nei seggi per assistere allo scrutinio ed ai litigi tra i rappresentanti di lista per guadagnare qualche voto al proprio partito. Non c’era né la “maratona Mentana”, né gli exit poll. Ma bastava andare nella sede del PCI (indubbiamente il meglio organizzato nella raccolta dei dati) per avere un quadro reale.

Ero un ragazzo e percepivo più un clima di scherzoso sfottò, che un clima di odio e di intolleranza e di non rispetto, come quello che emerge oggi.

All’epoca gli scherzi potevano anche essere pesanti, roba che se accadessero oggi si andrebbe sui giornali e sulla TV ed interverrebbero i pubblici ministeri.

Ve ne racconto uno, mitico, chiamando i due protagonisti col loro nomignolo: così che li riconosceranno solo quella decina di amici, tra i miei quaranta lettori, che condividono le mie radici e sicuro che i figli e nipoti dei due protagonisti, sapendo che ho di loro un affettuosissimo ricordo e grande stima, perdoneranno l’uso della “ingiuria” (così è detto il soprannome in dialetto calabrese).

Autore dello “scherzo”, il mitico capo locale del PCI di allora, “u Fetusu”, un piccolo imprenditore (capomastro, si sarebbe detto all’epoca), grande amico e vicino di casa di “Muscaloru”, commerciante di pesce, grande sostenitore del Sindaco DC degli anni del boom economico. La rielezione di questi era certa, ma lo spoglio andava particolarmente a rilento. “U Fetusu” si accorse subito che “Muscaloru”, vista l’ora tarda era rientrato a casa. Così che, per impedirgli di festeggiare la certa vittoria della DC, nella notte murò la porta e la finestra del basso in cui questi viveva. La storia paesana narra anche del dialogo tra marito e moglie: «dormi ch’è ancora scuro» e di grandi risate e bicchierate successive (secondo altra versione della storia, un po’ più maliziosetta, pare che li avesse murati per non farli votare).

Ricordo di un mondo che fu, che mi è tornato vivo, assistendo allo squallore del dibattito partitico intorno alla competizione elettorale delle Europee, ma soprattutto all’assoluto disinteresse della gente. Alle scorse elezioni europee del 2019 a stento si raggiunse il 50% dei votanti in Italia; in alcuni altri Pesi dell’UE percentuali addirittura minori; il 22% in Slovenia.

Entusiasmo e consapevolezza elettorale dei tempi che furono, molto ben rappresentati nel magnifico film di (e con) Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”, nell’epilogo finale del primo voto delle donne, in fila al seggio per il plebiscito monarchia/repubblica.

Consapevolezza del proprio ruolo che oggi mi pare mancare del tutto nell’elettore. Per una colpa che non è dell’elettore, ma di un sistema che non fa sentire il cittadino partecipe del sistema e che allontana dalla politica.

Si vota per le europee, ancora discutendo (nell’epoca del web!), sulle percentuali di presenza dei partiti in una RAI, sconosciuta ai millenial e alla generazione Z, che hanno altri canali di informazione e anche un modo diverso di espressione e di comunicazione.

Coeve alle elezioni europee si terranno anche elezioni amministrative locali.

Si sta ampliando ad ogni turno elettorale il numero dei piccoli centri dove, indette le elezioni, non viene presentata neppure una lista. In Calabria, nell’indifferenza generale, non si è presentato neppure un candidato in tre comuni (San Luca e San Lorenzo, in provincia di Reggio di Calabria; Melissa, in provincia di Crotone). Un piccolo dramma sempre più contagioso. Democrazia sospesa; nessun cittadino che voglia prendersi cura della cosa pubblica.

Conosco il Sindaco di San Luca, Bruno Bartolo, un tranquillo ed onesto infermiere in pensione che, dopo anni di non voto e di scioglimento delle amministrazioni ha trovato il coraggio di candidarsi e di fare il sindaco per una intera legislatura. Non si ripresenta, mi ha detto, perché in questi cinque anni di amministrazione non ha avuto il sostegno di nessuno: tutti diffidenti a priori, solo a sentire il nome del Comune.

Democrazia sospesa che è un dramma non solo per San Luca o per la Calabria, ma per l’Italia intera.

Un campanello d’allarme che qualcuno deve cogliere, prima che le elezioni divengano una inutile formalità e non una vera e reale consultazione popolare.

Ne riparleremo.

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