Anche al fine di dimostrare come il nostro sistema processuale stia subendo progressivi peggioramenti di qualità, anche in sede civile, ci occupiamo stavolta della novella introdotta dall’articolo 127 ter del Codice di procedura civile: Quello che – per intenderci – consente ai giudici di sostituire le udienze (anche quelle da tempo calendarizzate) con la richiesta ai litiganti del semplice deposito di note di comparizione telematiche, contenenti le richieste di ciascuno di loro.
Veniamo così ad individuare l’applicazione e gli abusi ai quali l’utilizzo di tale disposizione si sta prestando, provando altresì a valutarne la compatibilità con i principi fondamentali introdotti dalla legislazione sovranazionale, in particolare quelli relativi al diritto alla pubblicità delle udienze e ad un contraddittorio necessario fra le parti in causa.
Introdotto come strumento per semplificare le procedure e ridurre i tempi del processo, l’articolo 127 ter vorrebbe d’altronde consentire di modernizzare le pratiche giudiziarie attraverso l’uso della posta elettronica certificata: la norma prevede infatti che – a discrezione del giudice – le udienze possano essere sostituite con semplici scambi di documenti telematici, accelerando così il relativo processo decisionale.
La sua introduzione mirava quindi – almeno in origine – a rendere il processo civile più efficiente, riducendo gli oneri logistici e facilitando così una gestione più rapida delle controversie.
Tuttavia, questo efficientamento non avrebbe mai dovuto compromettere i diritti processuali fondamentali delle parti coinvolte, come invece sta, sempre più spesso, avvenendo.
La norma permette dunque ai giudici di evitare l’udienza fisica, richiedendo alle parti di inviare le proprie domande e documenti in formato digitale; ma se questo modo di procedere può essere particolarmente utile nei casi in cui sia versato – da ciascuna – materiale probatorio chiaro e non contestato, non altrettanto avviene allorché fra le parti stesse sia indispensabile una discussione più approfondita, ovvero vi siano questioni particolarmente complesse da affrontare, ovvero ancora una delle due parti agisca con malafede che possa essere scoperta solo nel corso di una discussione in udienza.
In alcune circostanze, infatti, l’uso eccessivo (o comunque improprio) dell’articolo 127 ter potrebbe condurre i giudici ad adottare decisioni superficiali e precipitose, impedendo loro di effettuare un adeguato esame delle questioni e degli interessi in gioco e questo può avvenire soprattutto in contesti litigiosi complessi, dove le interazioni dirette e le argomentazioni orali abbiano valore cruciale per un’equa risoluzione del caso, smascherando di artifici adottati da difensori non sempre corretti dal punto di vista deontologico.
Emblematico è il caso di un avvocato – da tempo ben noto alle cronache, Il quale (dichiarandosi nullatenente) continua Imperterrito a nuocere ad una molteplicità di persone – che contribuisce ad intasare l’attività del Tribunale civile di Roma, avendo avviato una molteplicità di cause fondate su pretese all’evidenza inesistenti.
L’abuso del ricorso alle previsioni di una tale norma, nel caso appena richiamato, può così ridurre la trasparenza e la pubblicità delle questioni giudiziarie che Lo riguardano, cancellando nelle sue vittime alcuni elementi essenziali (come, appunto, il contraddittorio) per mantenere la fiducia nel nostro sistema processuale.
La mancanza di un dibattito pubblico può inoltre minare il diritto di difesa, con potenziali violazioni dei principi del giusto processo, ormai ben noti agli utenti del “servizio giustizia” che ne fanno sempre più spesso oggetto delle critiche più diverse.
Molti avvocati e magistrati (almeno i più attenti) hanno d’altronde già espresso le loro preoccupazioni riguardo ad eventuali applicazione estensive del significato delle disposizioni recate dalla norma in esame, nel timore che la loro utilizzazione indiscriminata possa alla fine compromettere la qualità stessa della giustizia – come percepita dai cittadini – e la effettiva protezione dei diritti di una delle parti in causa.
Contribuiscono ad alimentare questo dibattito, tanto l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quanto l’articolo 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: enfatizzando – anche a proposito dei processi civili – la necessità del contradditorio e della pubblicità delle udienze, come pilastri del giusto processo: questioni inizialmente sollevate solamente a proposito delle questioni penali.
In particolare, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che ogni limitazione al diritto di accesso ad un tribunale – qualunque esso sia – debba necessariamente essere bilanciata con i diritti di chi vuole accedervi e non possa comunque compromettere l’esatta individuazione del diritto che si presume violato e sulla quale violazione quel tribunale sia chiamato a decidere.
Similmente, il diritto ad un’udienza pubblica è attuazione pratica di un principio fondamentale che può essere limitato solo in presenza di circostanze eccezionali e giustificate dalla loro gravità, come è avvenuto nel periodo della recente pandemia.
Benché – con l’introduzione dell’articolo 127 ter – il legislatore avesse mirato ad incrementare l’efficienza degli strumenti processuali a disposizione dei giudici, la loro utilizzazione dovrebbe perciò, finalmente, essere attentamente bilanciata con i principi del contraddittorio e della pubblicità di cui abbiamo già detto.
Le Corti europee hanno d’altronde, più volte, sottolineato l’importanza di mantenere questi ultimi principi, indirizzando così le interpretazioni di ciascun giudice nazionale verso una maggiore cautela nell’applicazione di quelli, come di quanto altro previsto dall’introduzione di norme similari in ciascun Paese europeo.
Sarebbe perciò utile che i problemi appena sollevati finissero all’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura, vuoi in sede propositiva, che disciplinare.
Agli ordini professionali, infine, il compito di vigilare sugli eventuali abusi nella limitazione del contradditorio e nel domandarne la repressione!