“Quanto è successo ha mostrato in modo evidente l’ineluttabilità della soluzione dei due Stati. Non c’è alternativa ai due stati che il permanere della guerra”. A 200 giorni di guerra tra Israele e Hamas a parlare ai media vaticani è il Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa. Una lunga disamina che nasce dai 34 anni vissuti in Terra Santa e che gli fa dire che “questa è la prova più difficile che ci è toccato affrontare. L’incertezza ora è su quanto durerà ancora questa guerra, e ancora più su cosa succederà dopo, perché una cosa è certa: nulla sarà più come prima. E non mi riferisco solo alla politica; penso a ciascuno di noi. Questa guerra ci cambierà tutti. Per metabolizzarla ci vorranno tempi lunghi. Ma è anche vero che qui i tempi lunghi sono l’ordinario, la pazienza nel bene e nel male non manca mai. Altrimenti non si spiegherebbe una guerra che in varie forme comunque dura da 76 anni”.
Ripartire dal basso
Uscire da questo dramma, per il patriarca latino, si può: “in questa terra – spiega – nel passato qualcuno più coraggioso ha tentato la strada politica della pace. Ma sono sempre stati tentativi che procedevano dall’alto verso, il basso: accordi, negoziati, compromessi. Sono tutti miseramente falliti. Pensate ad Oslo per esempio. E allora ora è il momento di invertire la direzione e avviare un percorso che vada invece dal basso verso l’alto. Ripeto: sarà faticoso ma non vedo altra strada”. Insomma, “occorre mettere un punto alla storia e ricominciare tutto daccapo e su basi nuove e diverse dal passato. Intanto – aggiunge il Patriarca – penso che tutto quello che è successo in questi sei mesi abbia mostrato in modo evidente l’ineluttabilità della soluzione dei ‘due Stati’. Non c’è alternativa ai due Stati che il permanere della guerra. Ma i due Stati debbono cambiarsi dal di dentro, debbono ripensarsi. Le due società, che pure negli ultimi anni sono cambiate radicalmente e rapidamente, devono avere il coraggio di ripensare la propria società”.
Finalmente mangiamo qualcosa
Il cardinale si sofferma anche sulla piccola comunità cristiana in Terra Santa, circa 500 persone, sfollata nella parrocchia latina: “Sono arrivati due container carichi di cibo e finalmente possono mangiare qualcosa di più sostanzioso. La situazione rimane difficile per l’equilibrio psicologico, che ovviamente vacilla dopo sei mesi di cattività nei locali della Chiesa. Tutti devono essere coinvolti in un qualche lavoro per il bene di tutta la comunità, e questo è importante perché così sono distolti dal pensiero fisso sul loro stato attuale, sui pericoli che corrono, e sul ricordo di quelli che non ce l’hanno fatta. Che non sono solo quelli morti ammazzati dalle bombe e dai fucili ma anche quelli che non sono sopravvissuti alla mancanza di medicinali e cure. È commovente il coraggio e la dedizione, in modo particolare, delle tre suore di Madre Teresa che non hanno mai smesso di occuparsi dei bambini disabili. Spero – conclude – che presto ci sia consentito di raggiungere questi nostri fratelli e sorelle e portargli di persona gli aiuti che necessitano”.