Il G7 di Capri si è chiuso con l’attacco di Israele, all’alba, contro l’Iran. Alle 4.30 di ieri, ora italiana, Israele ha lanciato un attacco come rappresaglia della rappresaglia iraniana di sabato scorso. Nonostante, i capi delle diplomazie dei sette grandi hanno invitato i due paesi mediorientali a ”lavorare per prevenire un’ulteriore escalation”. L’ultimo giorno del summit italiano, con l’agenda rimaneggiata, si è quindi aperto con le comunicazioni del Segretario di Stato americano, Antony Blinken, sull’operazione militare israeliana. Gli Stati Uniti sono stati avvertiti del raid sull’Iran, ma non hanno dato nessun consenso. “Non siamo coinvolti in alcuna operazione offensiva.” Ha detto Blinken: “quello che posso dire è che stiamo lavorando alla de-escalation”, obiettivo, ha aggiunto il Segretario Usa, non solo portato avanti dagli Stati Uniti “ma da tutti i paesi del G7 e l’Italia, che in questo ha un ruolo cruciale.” Su Rafah, ha aggiunto, “siamo stati molto chiari: non possiamo essere favorevoli a un’operazione militare. Crediamo che si possono raggiungere gli stessi obiettivi con altri mezzi”. Mentre più tardi ha dichiarato che in Medio Oriente è “Hamas che ostacola gli accordi.” Infine il presidente Tajani, ha detto che il G7: “non sarà spettatore. Ha lavorato, lavora e lavorerà per la de-escalation.”
Il documento del G7
I ministri degli esteri hanno sottoscritto un appello a tutte le parti a offrire il loro contributo positivo “a questo sforzo collettivo.” Nel documento diffuso al termine della riunione viene ribadita la richiesta di rilascio immediato degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e un “cessate il fuoco sostenibile che consenta di aumentare l’assistenza umanitaria urgentemente necessaria da consegnare in tutta sicurezza in tutta Gaza”. Sempre nel documento – dove si esprime sostegno agli sforzi di mediazione degli Usa – si evidenzia che il rifiuto di Hamas di rilasciare ostaggi “non fa altro che prolungare il conflitto e la sofferenza dei civili”. I ministri degli Esteri – si legge ancora nel documento finale del G7 – “stanno lavorando, anche imponendo sanzioni e altre misure, per negare ad Hamas la capacità di raccogliere fondi per compiere ulteriori atrocità”. Dal G7 è stata espressa anche la disponibilità a collaborare con il nuovo governo dell’Autorità palestinese. “Chiediamo all’Iran di astenersi dal sostenere Hamas”. E poi: “siamo pronti ad adottare ulteriori sanzioni o altre misure, ora e in risposta a ulteriori iniziative destabilizzanti”. I ministri del G7, infine, chiedono anche di ”mantenere immutato lo status quo storico nei luoghi santi di Gerusalemme” ed esprimono ”preoccupazione per le violenze dei coloni estremisti responsabili di atti violenti contro le comunità palestinesi”.
No all’operazione a Rafha
Dal G7 arriva anche la netta opposizione a un’operazione militare su vasta scala a Rafah che, sottolineano i ministri, ”avrebbe conseguenze catastrofiche sulla popolazione civile”. Quanto a Israele si chiede di presentare ”un piano credibile e attuabile per proteggere la popolazione civile locale e rispondere ai loro bisogni umanitari”. Viene quindi espressa ”profonda preoccupazione per lo sfollamento forzato da Gaza” e si invita Tel Aviv ad ”agire in conformità con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale e a trattare gli individui in modo umano e con dignità”.
Due popoli, due stati
L’Amministrazione americana dopo aver posto il veto alla risoluzione sull’ammissione piena della Palestina alle Nazioni Unite, l’ambasciatore americano all’Onu Robert Wood ha affermato che “gli Usa supportano vigorosamente uno stato palestinese nell’ambito di un accordo di pace. E il presidente Joe Biden dal 7 ottobre ha ripetuto numerose volte che l’unica via per la pace è una soluzione dei due stati. Ma azioni premature qui a New York, anche con le migliori intenzioni, non porteranno allo stato palestinese”.
Catena umana delle famiglie ostaggi
Intanto ieri in Israele i familiari degli ostaggi sequestrati da Hamas a Gaza dal 7 ottobre si sono radunati sulle spiagge lungo la costa per formare una catena umana dalla spiaggia di Habonim a Rishon Lezion, circa 85 chilometri, in un ennesimo appello al governo per garantire un accordo sulla loro liberazione. Sulla Gordon Beach di Tel Aviv, i manifestanti tenevano tra loro delle tavole da surf per allungare la catena. Prima dell’evento, Shelly Shem Tov, il cui figlio Omer Shem Tov è stato preso in ostaggio al rave nel deserto di Supernova, ha invitato il pubblico a “venire e stare con noi in silenzio, senza slogan.”
G7: sostegno all’Aiea
Sul fronte ucraino, non da meno, c’è forte preoccupazione da parte del G7 perché la situazione non degeneri: condanna per il continuo controllo e la militarizzazione da parte di Mosca della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, nel sud dell’Ucraina. La presenza russa nel sito ”pone gravi rischi per la sicurezza nucleare, anche “per la più comunità internazionale”. I ministri degli Esteri sostengono dunque ”gli sforzi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica volti a limitare tali rischi, anche attraverso la presenza continua di esperti dell’Aiea”. I ministri degli Esteri hanno anche espresso la loro “forte preoccupazione” per i trasferimenti di materiale cinese alla Russia che aiuta la macchina da guerra in Ucraina. “Esprimiamo – dicono nel comunicato finale – la nostra forte preoccupazione per i trasferimenti alla Russia, da parte di società cinesi, di materiali a duplice uso e componenti di armi che la Russia utilizza per rafforzare la sua produzione militare”.