Quattro bambini, sieropositivi alla nascita, sono rimasti senza tracce rilevabili del virus Hiv per più di un anno dopo la sospensione della terapia antiretrovirale nell’ambito di uno studio clinico finalizzato a verificare se l’inizio precoce della terapia – entro poche ore dalla nascita – sia in grado di portare alla remissione dall’Hiv. La notizia è stata data negli Stati Uniti, a Denver, nel corso della Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections.
Le prospettive di remissione
“Questi risultati sono una chiara prova che un trattamento molto precoce consente alle caratteristiche uniche del sistema immunitario neonatale di limitare lo sviluppo del serbatoio dell’Hiv, il che aumenta la prospettiva di remissione”, ha affermato Jeanne Marrazzo, direttrice del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. La ricerca ha certificato che le donne con Hiv che, attraverso la terapia, riescono ad avere una carica virale persistentemente non rilevabile hanno un rischio quasi nullo di trasmettere il virus al figlio. La trasmissione può però avvenire in caso di controllo insufficiente dell’infezione.
Vanno fatti test neonatali
Nel caso in cui durante la gestazione il bambino contrae il virus, dovrà assumere la terapia per tutta la vita. Nel 2013 è stato registrato il primo caso di un bambino nato con Hiv in cui, dopo l’inizio precoce del trattamento antiretrovirale, è stato possibile sospendere la terapia senza perdere il controllo dell’infezione. Questo episodio ha dato il via a diversi studi per testare questa ipotesi. I dati attuali si riferiscono a un gruppo di 6 bambini di 5 anni arruolati in uno studio iniziato nel 2015. Quattro di loro hanno ottenuto la remissione dell’Hiv. Uno per 80 settimane, andando incontro però a una ripresa dell’infezione. Altri tre sono ancora in remissione dopo 48, 52 e 64 settimane. “Questi risultati sono un passo avanti per la ricerca sulla remissione e la cura dell’Hiv, ma indicano anche la necessità di test neonatali e l’inizio del trattamento immediati per tutti i bambini potenzialmente esposti all’Hiv in utero”.
Servono nuove leve
La dottoressa Marrazzo chiede che siano fatto altre verifiche perché anche altri studi hanno il potenziale per cambiare la pratica, proprio come i risultati dello studio “Reprieve” che sono stati condivisi in un altro recente incontro scientifico e hanno portato alle nuove linee guida sull’uso delle statine per prevenire eventi cardiovascolari nelle persone con Hiv. Servono nuove leve di ricercatori e scienziati per combattere l’Hiv e arginarlo definitivamente: “abbiamo davvero bisogno di persone che un giorno prendano il nostro lavoro”, ha concluso la dottoressa.