OMaR – Osservatorio Malattie Rare stima che in Italia le persone affette da SLA siano circa 6.000, nel 60% dei casi uomini. Persone che hanno un’unica diagnosi ma che possono avere forme di malattia molto differenti tra loro, con una aspettativa di vita che può andare da alcuni mesi ad alcuni decenni: generalmente, circa la metà delle persone affette muore entro cinque anni dall’insorgenza dei sintomi ma non sono rari i casi di persone che riescono a convivere molto più a lungo con la SLA. Perché la SLA è una malattia complessa ed eterogenea, della quale oggi si sa di più rispetto a 20 anni fa, ma non ancora abbastanza.
I farmaci
“Al momento in Italia l’unico farmaco approvato per la SLA è il riluzolo. Alcuni mesi fa la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha concesso il via libera alla commercializzazione di un farmaco basato su una combinazione di acido tauroursodesossicolico e fenilbutirrato di sodio i cui risultati di Fase 2 indicano un effetto di rallentamento della progressione sintomatica della SLA. Precedentemente, la stessa Agenzia regolatoria aveva approvato un altro farmaco efficace nel rallentare l’avanzamento della malattia in un sottogruppo di pazienti affetti da SLA ad insorgenza precoce. Inoltre, per i pazienti con la mutazione nel gene SOD1 sono giunti risultati incoraggianti da un oligonucleotide antisenso (ASO) sviluppato per degradare l’RNA messaggero (mRNA) che favorisce la sintesi della proteina SOD1, riducendone così la concentrazione”, ha spiegato Andrea Calvo, Neurologo del Centro Regionale Esperto per la SLA dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.
Percorsi di presa in carico
Nella speranza e nell’attesa di terapie maggiormente efficaci però l’attenzione di tutti è rivolta sull’assistenza e sui percorsi di presa in carico, che impattano sia sulla qualità della vita sia sulla sua durata, perché consentono di introdurre tutta una serie di strategie di supporto essenziali per garantire al paziente di preservare fin quando possibile la mobilità, una corretta alimentazione e una respirazione adeguata. “La domiciliarità è una delle principali chiavi di successo dell’assistenza ai pazienti – ha raccontato Nicola Ticozzi, Direttore di Neurologia, Istituto Auxologico Italiano -. Questo termine indica la possibilità di incontrare i pazienti in visite dalla scadenza programmata, nel contesto di un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale ben stabilito. Ciò diventa possibile anche grazie a strumenti come la telemedicina che permettono di avvicinare i pazienti ai medici. Senza mai negare la necessità del ricovero presso una struttura ospedaliera, va tenuto presente che la casa è il luogo dove gran parte dei pazienti vivono la loro malattia ed è un dovere fare in modo che essi ricevano la miglior assistenza proprio a domicilio, senza per questo mai sentirsi isolati o abbandonati”.