venerdì, 17 Gennaio, 2025
Esteri

L’Isis rivendica l’attentato in Iran. Khamenei: “Pazienza strategica”

Onu: preoccupazione per trasferimento forzato di palestinesi in Paesi terzi

L’attentato a Kerman, in Iran, è stato rivendicato dall’Isis. Le esplosioni sarebbero state innescate da attentatori suicidi, ma sono ancora in corso le indagini. Anche il numero dei morti e feriti non è ancora chiarito; da fonti del Governo iraniano i morti sono scesi da 103 delle prime ore a 84 di ieri, mentre i feriti sono saliti a 288. Il comandante delle forze armate della città iraniana di Kerman ha smentito anche le notizie di spari e combattimenti che sarebbero avvenuti ieri. Il portavoce dell’Isis, Abu Hudhayfah Al-Ansari, in un messaggio audio su Telegram, ha detto che “tutti i soldati e i sostenitori” della sua organizzazione nel “mondo islamico si devono mobilitare per vendicare ovunque, in terra e sotto al cielo, i musulmani”, “senza distinzione tra civili e militari.” “È una guerra santa, non per il territorio o per la patria” bensì “contro gli ebrei, alleati con i crociati cattolici, che non finirà” indipendentemente da una soluzione politica in termini di “uno o due Stati”. Il portavoce dell’Isis critica anche l’alleanza tra l’Iran sciita e le fazioni palestinesi sunnite – come Hamas – che combattono “una guerra per procura per l’Iran.”

L’Iran non vuole l’escalation

Secondo fonti statunitensi le modalità dell’attentato sono simili ad altre messe in atto dall’Isis e dunque la rivendicazione sarebbe credibile. Quanto all’Iran, ieri, il New York Times sostiene che nonostante la retorica e le accuse ai “sionisti”, la Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, sta cercando di evitare che l’attentato sfoci in un’escalation militare con gli Stati Uniti ed Israele. Il quotidiano statunitense cita due persone “che hanno familiarità con le discussioni interne dell’Iran”. Khamenei avrebbe ordinato ai suoi capi militari di esercitare “pazienza strategica” ed evitare qualsiasi grave escalation con gli Stati Uniti, limitando ad esempio gli attacchi per procura da parte delle milizie sciite alle basi militari Usa in Siria e Iraq, e a ridurre al minimo le risposte a qualsiasi presunta operazione israeliana all’interno della Repubblica islamica. Il New York Times afferma inoltre che, sebbene l’intelligence iraniana non indichi un coinvolgimento israeliano nella strage i leader di Teheran hanno deciso di ritenere Israele pubblicamente responsabile dell’attacco, indipendentemente dalle prove. A cercare di evitare l’escalation di una guerra aperta arriva nell’area, per la quinta volta dal 7 ottobre, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken.

Funerali di Arouri

La guerra è aperta su tutti i fronti, ma è una “guerra a pezzi”, come l’ha definita Papa Francesco. A Baghdad gli Stati Uniti hanno ucciso un leader di una milizia irachena e altre sette membri sono stati feriti. Sono responsabili degli attacchi contro le forze americane in Iraq. Gli Stati Uniti hanno anche chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intraprendere un’azione urgente contro i ribelli Houthi dello Yemen che continuano ad attaccare le navi lungo la rotta commerciale del Mar Rosso. A Gaza l’esercito israeliano ha assassinato Mamduh Lulu, responsabile della Jihad islamica. Una caserma israeliana in Alta Galilea è stata presa di mira dagli Hezbollah libanesi. Mentre Israele continua l’assedio nel sud della Striscia e ieri nella zona di al-Mawasi sono morte 14 persone. Colpito anche il quartier generale della Mezzaluna Rossa palestinese a Khan Yunis dove una persona è morta e altre sei sono rimaste ferite. Ieri si sono tenuti anche i funerali di Saleh Arouri e altri sette miliziani uccisi, a Beirut, al quale hanno partecipato circa 1.500 persone. In Cisgiordania molto coloni israeliani sono stati attaccati a Huwara (Nablus) e a Psagot (Ramallah) proprio in reazione all’assassinio del numero due di Hamas. In decine di località ci sono stati lanci di bottiglie molotov e di sassi contro veicoli israeliani. Ad alimentare queste tensioni, secondo i coloni, non è solo Hamas ma anche al-Fatah, che ieri ha organizzato uno sciopero generale del commercio in segno di protesta contro l’uccisione di al-Arouri.

Gallant avverte Hezbollah

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant all’inviato speciale americano nella regione, Amos Hochstein, ha detto che c’è “una breve finestra di tempo per raggiungere intese diplomatiche” con Hezbollah, dato che il gruppo libanese “effettua attacchi quotidiani” nel nord di Israele. “Ci troviamo a un bivio – ha affermato Gallant – c’è un breve lasso di tempo per le intese diplomatiche, cosa che preferiamo. Non tollereremo le minacce di Hezbollah e garantiremo la sicurezza dei nostri cittadini.” Dunque potrebbe diventare guerra aperta anche il fronte nord e nonostante le pressioni americane, anche il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha confermato che non saranno trasferite all’Anp i ricavati dalle entrate fiscali palestinesi usate per pagare stipendi e servizi nella Striscia di Gaza. Su questa questione avevano discusso direttamente anche il Presidente Biden e il premier Netanyahu, ma il Governo israeliano è irremovibile perché sostiene che il denaro dell’Anp finanzia i terroristi di Hamas.

Polemiche su trasferimenti e aiuti

Infine sulla questione dei possibili trasferimenti verso paesi terzi dei palestinesi da Gaza, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk si è detto “molto preoccupato.” Secondo Turk “l’85% delle persone a Gaza sono già sfollate interne. Hanno il diritto di tornare alle loro case. La legge internazionale vieta il trasferimento forzato di persone protette all’interno o la deportazione dal territorio occupato”. Polemiche anche con l’Unwra accusata da Israele di non fare abbastanza per far arrivare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. “Non si può continuare a evitare i fatti: non c’è nessuna punizione collettiva. Due valichi sono aperti. Avete detto che potete trasferire 200 camion al giorno a Kerem Shalom, eppure non riuscite a farne entrare neppure 100”, ha affermato il Cogat israeliano che accusa l’organizzazione umanitaria anche di “temporeggiare” e aggravare la situazione degli sfollati.

Kfir Bibas compie un anno

Ha compiuto un anno il più piccolo degli ostaggi israeliani, Kfir Bibas, rapito il 7 ottobre con il fratellino Ariel di quattro anni, e i genitori e portato a Gaza. Nelle scorse settimane Hamas ha diffuso un video in cui il padre veniva informato in diretta che la moglie e i due bambini sono morti, ma per il momento non c’è stata nessuna conferma che non siano più in vita. Le tv israeliane e i social mostrano di continuo le immagini del rapimento, ripreso dai terroristi, in cui si vede la madre dei due piccoli, Shir, che tiene in braccio i figli dai capelli rossi cercando di proteggerli con una coperta.

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