In Italia vengono prodotte ogni anno 3,24 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione: circa il 46% è avviato allo smaltimento. La cattiva o mancata depurazione ci costa 60 milioni di euro l’anno. Con la risoluzione delle procedure di infrazione, si produrranno circa 0,8 milioni di tonnellate di fanghi in più all’anno, mentre nel caso venisse a mancare l’utilizzo agricolo, occorrerebbe trovare immediata collocazione per ulteriori circa 1,32 milioni di tonnellate di fanghi. “Il sistema”, sostiene Utilitalia, la Federazione delle Utilities, “è in equilibrio, ma servono nuovi impianti.”
Equilibrio precario
I fanghi di depurazione sono un rifiuto che si può trasformare in risorsa per l’utilizzo in agricoltura o attraverso il recupero energetico e di materia. Nel nostro Paese, però, il sistema si regge su un equilibrio precario: a un sistema insufficiente di depurazione (che ci costa 4 procedure di infrazione, con 60 milioni di euro pagati ogni anno) si accompagna una carenza di impianti sia per il corretto utilizzo in agricoltura, sia per il recupero di materia e per quello energetico con produzione di biometano ed energia elettrica o termica; ciò nel presupposto che lo smaltimento in discarica, sicuramente l’opzione ambientalmente meno conveniente, vada minimizzato a favore del recupero, come previsto anche nella bozza di revisione della Direttiva Europea sulle acque reflue urbane.
Corretta gestione dei fanghi
Per Utilitalia, che aveva avvertito della situazione già a Ecomondo, si è reso necessario presentare una seconda edizione dello studio “Fabbisogni impiantistici per una corretta gestione dei fanghi di depurazione”. Negli ultimi anni il 54% dei fanghi è stato avviato a recupero ed il restante 46% a smaltimento con situazioni piuttosto diversificate tra le macroaree. Il Centro ed il Sud, infatti, hanno esportato complessivamente circa 480.000 tonnellate di fanghi verso altre regioni, soprattutto del Nord. “Un quadro che rischia di essere aggravato nei prossimi anni da due fattori”, si legge nel resoconto: “da un lato, migliorare le performance dal punto di vista della depurazione farà crescere i quantitativi di rifiuto da gestire: con la risoluzione delle procedure di infrazione si stima che si produrranno circa 800mila tonnellate di fanghi in più, arrivando a circa 4 milioni di tonnellate annue. Dall’altro lato, una mancata o una forte riduzione dell’utilizzo agricolo, sottoposto frequentemente a limitazioni e praticato comunque in un quadro di incertezza normativa, causa una norma datata che andrebbe urgentemente riformata, aggraverebbe ulteriormente la situazione di deficit gestionale del Centro-Sud, mettendo anche il Nord in forte difficoltà. Questo perché ad oggi la quasi totalità delle 1,3 milioni di tonnellate di fanghi avviati a recupero viene trattata per un successivo utilizzo in agricoltura, sia in forma diretta sia attraverso la produzione di ammendanti compostati misti e di gessi di defecazione”.
Occorrono altri impianti
Insomma nel caso venisse a mancare l’utilizzo agricolo, occorrerebbe trovare immediata collocazione per circa 1,32 milioni di tonnellate di fanghi, alle quali andrebbero a sommarsi ulteriori 800.000 tonnellate derivanti dalla risoluzione delle procedure di infrazione. “In linea con gli standard forniti da Arera – ha spiegato il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo – i gestori del servizio idrico sono impegnati da tempo in politiche incentrate sulla riduzione dell’utilizzo della discarica per lo smaltimento dei fanghi da depurazione. Questo studio dimostra che nei prossimi anni occorreranno impianti sia per il recupero di materia e successivo utilizzo in agricoltura, sia per il recupero energetico con produzione, tra gli altri, di biometano.” In Italia la normativa risale al 1992 e già gli operatori sostengono lanecessità di un aggiornamento.