“Molte scie, nessuno sciame.” Lo scrive il Censis, secondo il quale l’Italia “accomunando promesse di inclusione, occasioni di benessere, investimenti in capitale umano o patrimoniale, ha costruito in decenni il proprio meccanismo di vita sociale preferendo lo sciame allo schema, l’arrangiamento istintivo al disegno razionale. Uno sciame che però oggi appare disperdersi, distaccando dietro di sé mille scie divergenti. Quel meccanismo di promozione e mobilità sociale si è usurato.”
Piccole patrie e piccoli traguardi
Giudizi netti, quelli del Censis, nella ricerca, anche, di giochi di parole con significati che vengono spiegati come “una direzione, pochi traguardi”, con una società che “inizia a intravedere i contorni” della difficile congiuntura, “ma elude attentamente stimoli e investimenti utili a tradurre l’intenzione in traiettorie concrete.” Insomma “piccole patrie” e “piccole rivendicazioni” che rendono piccoli anche i traguardi. L’aggravarsi, poi, dei “rischi demografici” e di quanto si è succeduto tra pandemia, crisi energetiche, inflazione, guerre “alle porte”, avrebbero messo “definitivamente a nudo i bisogno di medio periodo de nostro Paese.” Insomma il contesto è pesante, ma non si cercano – secondo il Censis – soluzioni adeguate perché si gioca “su emozioni di brevissima durata”. “La società italiana trascina i piedi” e ci si consola constatando che il nostro “è il Paese delle mille meraviglie”, ma si ignorano “tutte le arretratezze” se ci si sofferma a guardare dal basso.
Le transizioni da affrontare
Così va tutto come non dovrebbe andare: “la transizione digitale” non va perché mancano competenze, le risorse sono scarse e le infrastrutture e le reti pure. La crisi ambientale non trova politiche adeguate. La “transizione energetica” è ferma al caro-energia. La “transizione demografica”, con l’invecchiamento della popolazione e la crisi della natalità, “è la trasformazione più chiara che abbiamo sotto gli occhi e della quale sono più evidenti le dinamiche di medio periodo.” Ma le politiche per le famiglie, i giovani, la sicurezza collettiva, la fruizione di servizi digitali dell’amministrazione pubblica si riducono “a poco più di un’applicazione da scaricare sullo smartphone, in genere di scarsa intelligenza e di modesto investimento.” Per non parlare dell’”educazione universitaria” ferma agli alloggi per i fuori sede e intanto i giovani cambiano “l’attribuzione di senso al lavoro”, “come espressione della vocazione e dello sviluppo della persona e della comunità” che però non rimette in moto “uno sciame, uno sforzo collettivo di sviluppo.” Per non parlare della “gestione finanziaria del debito pubblico” che pur avendo rimesso al centro dell’attenzione la funzione del risparmio di famiglie e imprese, si fa sfuggire “lo sviluppo del Paese” o la funzione della “spesa pubblica.”
Il mondo nuovo
Insomma per il Censis non va bene niente: “tutto concorre a comporre un disegno, per la verità ancora piuttosto confuso, di una società che, più che avviare un nuovo ciclo, sta sostituendo il modello di sviluppo costruito a partire dagli anni ’60, nel quale si rivendicava il lasciar fare, la copertura dei bisogni essenziali, il riconoscimento delle identità e dei diritti collettivi, con un modello nuovo in cui sia assicurato il lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale senza vincoli collettivi.”
Rimane sullo sfondo il dubbio che, se tutto è descritto così, se al netto ogni politica non è poco politica e tanto di personale, se ciascuno conquisterà la libertà di essere qualsiasi cosa; senza regole, senza vincoli, senza sciame, non sapremo fare, insieme, le cose che da soli non siamo in grado di fare “e non sapremo essere, tutti insieme, ciò che da soli non siamo in grado di essere.”