Al quinto giorno della Cop28 l’accordo sul Global stocktake cioè il primo bilancio degli impegni rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, non è stato trovato. I delegati dei 197 Paesi più l’Unione Europea che ci stanno lavorando avranno tempo fino al 12 dicembre per trovare una sintesi condivisa tra le tre opzioni messe in campo: un’eliminazione graduale “ordinata e giusta”, “un’accelerazione degli sforzi verso l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non abbattuti” e una terza che non citerebbe per niente l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Come è noto sono i Paesi produttori di petrolio a propendere fortemente per questa ultima ipotesi, tant’è che secondo Kick Big Polluters Out, una coalizione di oltre 450 organizzazioni in tutto il mondo che chiede la fine dell’influenza delle aziende produttrici di combustibili fossili nella politica climatica, la presenza di lobbisti di queste aziende alla 28/a Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici in corso a Dubai è quadruplicata raggiungendo un numero record.
Solo due giorni fa Sultan al-Jaber, CEO della principale compagnia petrolifera emiratina, ma soprattutto presidente della Cop28, durante un evento online aveva dichiarato che l’eliminazione dei combustibili fossili, anche graduale, non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”, affermazione poi in parte ritrattata. Ma anche Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio al mondo, ha affermato che “non accetterà assolutamente” l’eliminazione graduale nell’accordo finale della Cop28. “E vi assicuro che nessuno, sto parlando dei Governi, ci crede”, ha aggiunto in una intervista.
Dal punto di vista finanziario, nei primi due giorni di lavori il bilancio dei numerosi impegni già messi sul tavolo ha raggiunto la cifra di 57 miliardi di dollari, destinati a vari settori, dalla salute all’alimentazione, dalla natura all’energia. Per quanto riguarda il Fondo Loss&damage (Perdite e danni ai Paesi in via di sviluppo) sono stati raggiunti impegni per 700 milioni di dollari. Parallelamente, gli Emirati arabi uniti che ospitano la Cop28 hanno lanciato un fondo da 30 miliardi di dollari in partnership con il settore privato auspicando di stimolare 250 miliardi al 2030. In realtà, le stime ufficiali indicano che entro il 2030 sarebbero necessari almeno 2.400 miliardi di dollari. Su vasta scala viene, poi, sollecitata una riforma dell’architettura finanziaria per sbloccare migliaia di miliardi di finanziamenti entro il 2030.
La Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, denuncia anche che gli aiuti per contrastare la crisi climatica ai Paesi più poveri e dove magari sono anche in atto conflitti sono troppo spesso prestiti che contribuiscono a peggiorare il loro indebitamento. Quasi il 10% dei finanziamenti per il clima è arrivato sotto forma di prestiti non agevolati e solo poco più del 41% del totale è stato erogato sotto forma di prestiti agevolati. “È ora di abbandonare i vecchi modelli di finanziamento che soddisfano le preferenze dei donatori per passare a soluzioni basate sui bisogni dei Paesi e delle comunità colpite – afferma Safa Jayoussi, policy advisor di Oxfam per la giustizia climatica in Medio Oriente e Nord Africa -. Dobbiamo inaugurare un nuovo corso in grado di rafforzare le comunità locali con finanziamenti sotto forma di sovvenzioni per assicurare cambiamenti sostenibili e a lungo termine”.